Luca Gandolfi

Dottore in Scienze Politiche

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APPUNTI E OSSERVAZIONI PERSONALI

SULLE STRATEGIE COMUNICATIVE DIRETTE DI ALCUNI LEADERS POLITICI ITALIANI

 

  L'ultima parte di questa tesina prende spunto da alcune notazioni che ho avuto modo di fare in occasione della "Festa di Liberazione" svoltasi a Milano nel luglio '95, e in particolare nei dibattiti che in quell'occasione si sono svolti.

Proprio i suddetti dibattiti mi hanno offerto l'opportunità di effettuare un'osservazione diretta di alcuni uomini politici di spicco di diverse aree politiche, e di compiere così delle analisi (sebbene il termine usato sia forse eccessivo) sui loro modi e strategie di comunicazione diretta col pubblico. Grazie a ciò ho potuto notare le differenze e le similitudini delle diverse strategie, la loro efficacia o meno.

Le osservazioni che scaturiscono da queste analisi, riguardanti sia la forma che il contenuto degli interventi, non hanno la pretesa di essere esaustive o "scientifiche", al contrario sono coscienti dei limiti ad esse imposte: dal contesto nel quale si svolgono, cioè all'interno di una festa organizzata da un partito politico (Rif. Comunista), che presuppongono quindi la presenza di un pubblico di parte e spesso molto identificato; un secondo limite è dato dalla brevità dell'osservazione (ogni politico parlava per circa un quarto d'ora) e dalla unicità delle occasioni in cui i suddetti politici partecipavano ai dibattiti, con l'unica eccezione che riguarda F. Bertinotti (che ho avuto modo di osservare in due distinte occasioni).

All'interno di questa sezione riporto anche testualmente, ma non integralmente, il contenuto di un articolo apparso sul Corriere della Sera a firma di F. Alberoni, nel quale il noto accademico espone alcune sue osservazioni su una comunicazione non-verbale che permetterebbe di identificare l'area politica delle persone (sempre con i limiti che le generalizzazioni possono avere).

 

1 - Strategie comunicative dirette di tre leader politici

1.1 - Fausto Bertinotti (Rif. Comunista)

Bertinotti era "il padrone di casa" alla festa di Liberazione, questo mi ha dato l'opportunità di osservarlo in più di un dibattito.

Un ruolo importante, e sicuramente non secondario, ha avuto il tipo di pubblico presente durante i suoi interventi, caratterizzato, oltre che dal grande numero, da una fortissima identificazione nel suo leader, Bertinotti appunto, e in tutte le simbologie del suo partito, verbali (ad es. il termine "compagno") e non (bandiere e altro).

Forse conscio del tipo di pubblico che aveva di fronte, il leader in discorso ha dato per scontato che i suoi fans avessero anche una forte e alta base culturale comune, ha così affrontato il dibattito cercando di esporre una grande quantità di contenuti complessi, ritenendo probabilmente che la semplice citazione di quelle tematiche fosse parte del background culturale degli astanti, ed evitando approfondimenti. Il suo intervento è stato anche caratterizzato da una enorme velocità espositiva (forse eccessiva).

Posso azzardare alcune osservazioni personali, delle critiche, su queste modalità comunicative, conscio del fatto che manca comunque una verifica empirica (questionario o interviste al pubblico presente). Ritengo che questo modo di comunicare sia inefficace, la velocità e la superficialità di tale comunicazione determina l'impossibilità per il pubblico di memorizzare i concetti e di capirne per intero la portata del loro contenuto, anche per quella parte, seppur minima, di esso con un alto livello culturale.

Io stesso, nonostante i miei studi nel settore, e nonostante prendessi appunti, facevo fatica a stare dietro alla rapidità espositiva di Bertinotti. Inoltre, man mano che scrivevo, mi accorgevo che i concetti, esposti in sequenza rapida, erano così complessi che ognuno avrebbe avuto bisogno, per essere compreso a fondo, di almeno un'ora di trattazione.

Tanto per rendere meglio l'idea cito solo alcuni dei "concetti complessi" enumerati da Bertinotti:

  • "la crisi è crisi del capitalismo"
  • "la crisi sociale italiana ha tre cause: la crisi dell'economia; la disoccupazione; la mancanza di attenzione alla qualità della vita"
  • "la destra sostiene la politica d'impresa, che si basa su: la competizione; politiche liberiste; riduzione dei costi; togliere potere contrattuale"

Le citazioni potrebbero proseguire all'infinito e confermerebbero tutte la mia ipotesi. Le mie critiche sul metodo di comunicazione del leader di Rifondazione Comunista debbono tuttavia essere attenuate, poichè a giustificazione della scelta fatta da Bertinotti ci sono alcuni importanti fattori: il tempo a disposizione per l'intervento molto limitato (10-15 minuti massimo); il tipo di pubblico presente (già analizzato); lo scopo della comunicazione.

Quest'ultimo fattore è essenziale per capire se la strategia comunicativa scelta era appropriata o no. Qual'era lo scopo che voleva raggiungere col suo intervento Bertinotti? Per rispondere correttamente a questo quesito bisognerebbe porlo direttamente a Bertinotti, in mancanza di ciò si possono solo avanzare delle ipotesi interpretative.

Lo scopo probabilmente era quello di ribadire i valori fondamentali del partito, di creare coinvolgimento emotivo e identificazione, ma in quell'occasione esisteva anche uno scopo specifico, chiarire cioè qual'era la posizione di Rif. Comunista nelle alleanze che si sarebbero create in caso di elezioni. Bertinotti, da una parte aveva il compito di tranquillizzare i suoi elettori che i valori e le issues del partito erano immutate, dall'altra doveva giustificare la sua (a quel tempo) possibile alleanza all'interno di una federazione della sinistra, nella quale ogni partito avrebbe conservato la propria identità. Soprattutto, Bertinotti sembrava preoccupato di giustificare una eventuale alleanza col PDS, che, a parte FI, sembrava quasi, dai suoi interventi e di quelli di altri rappresentanti di Rif. Comunista, che fosse il principale avversario politico.

Se gli scopi che Bertinotti voleva raggiungere erano questi, allora probabilmente la sua strategia comunicativa era appropriata, poichè non era necessario spiegare in dettaglio le singole questioni, ma era sufficiente enumerarle per testimoniarne la presenza ancora viva nel partito.

 

1.2 - Carlo Ripa di Meana (Verdi)

L'intervento di Ripa di Meana si potrebbe facilmente riassumere in due semplici considerazioni: "egregio" dal punto di vista della serietà del contenuto e del metodo logico-espositivo; "pessimo" dal punto di vista emotivo e strategico-comunicativo.

Queste due considerazioni vanno però chiarite ed approfondite per comprenderne a fondo il significato e il motivo di una simile scelta comunicativa.

Inizia il suo intervento con la specificazione della posizione del suo partito, i Verdi: "non sono nè di sinistra, nè di destra, nè di centro, sono una cosa a se". Ripa di Meana giustifica la sua presenza al dibattito in qualità di rappresentante del suddetto partito, e in questa veste intende chiarire quali sono le posizioni discordanti da Rif. Comunista e quali quelle comuni.

Inizia un elenco chiaro e preciso, partendo da ciò che separa il suo partito da Rifondazione: le pensioni (i verdi favorevoli alla riforma, Rif. contraria); le elezioni (non anticipate per i verdi, subito per Rifondazione); la patrimoniale (cavallo di battaglia di Bertinotti, i Verdi contrari); la posizione verso Cuba.

Importanti sono le reazioni del pubblico a queste enunciazioni: lieve borbottio di dissenso per le pensioni; nessuna reazione per le elezioni; pochi dissensi per la posizione sulla patrimoniale; un vero e proprio assalto verso Ripa di Meana quando dice di non condividere l'appoggio incondizionato di Rifondazione verso Cuba. In queste reazioni emerge la struttura socio-culturale del pubblico, composto in prevalenza di militanti coinvolti emotivamente e acriticamente, più che razionalmente, dalle posizioni del loro partito (Rif. Comunista), quasi incapaci di accettare, rispettare o quanto meno ascoltare una voce di dissenso. E' addirittura necessario un intervento diretto di Bertinotti per cercare di calmare gli animi e consentire così al leader dei Verdi di proseguire.

Viene poi il turno dei punti in comune con Rifondazione: posizione verso la persona; la questione ambientale; l'orario di lavoro; il nucleare; attenzione ai valori e alle issues. Quasi per riabilitarsi, il pubblico esprime il proprio compiacimento a ogni punto in comune presentato.

Al di là del contenuto dell'intervento, si nota una schematicità e una chiarezza logica, oltre che una onestà intellettuale e etico-morale che impedisce a Ripa di Meana di nascondersi dietro facili tematiche demagogiche, per cercare invece di affrontare un dibattito aperto ed onesto con i leader presenti. Ed è proprio questa la specificità dell'intervento del leader dei Verdi, il suo discorso, per il livello e la serietà con cui è condotto, sembra più rivolto verso gli altri leader presenti, piuttosto che verso il pubblico, quasi si trattasse di una tavola rotonda con un pubblico di soli esperti. Pertanto, risulta appropriato se lo scopo era appunto quello di un chiarimento delle posizioni tra i partiti della futura alleanza elettorale, ma totalmente inadeguato alla comunicazione verso un pubblico come quello presente.

Qualche notazione anche sullo stile espositivo di Ripa di Meana, che risulta essere lento e stentato, proprio perchè fondato su una genuina riflessione sugli argomenti di cui parla, ma che, nonostante la bontà dei contenuti e il buon approfondimento degli stessi (nonostante il poco tempo a disposizione), risulta essere noioso per la maggior parte del pubblico, e provoca un notevole calo dell'attenzione.

Conclude l'intervento ribadendo la disponibilità del suo partito "di far parte di una federazione di partiti in funzione delle elezioni, basata sui punti in comune dei diversi programmi, pur mantenendo ciascuna forza politica la propria identità".

Onore al merito a Ripa di Meana per aver tentato un vero discorso politico, ma ciò porta a chiedersi se ne sia valsa la pena, visto che i presenti non hanno percepito niente di ciò gli è stato detto, a parte la posizione contraria a Cuba. Questo deve invitare tutti ad una seria riflessione, perchè, se è vero che sarebbe bello riportare l'attenzione sulle issues piuttosto che sulle persone, bisogna prima porre le condizioni, istituzionali e culturali, perchè ciò sia realmente possibile.

 

 

1.3 - Leoluca Orlando (La Rete)

Nell'analisi dell'intervento di L. Orlando è importante considerare sia il contenuto dell'intervento, sia il modo di porsi al pubblico del politico in questione. Bisogna, inoltre, cercare di individuare gli scopi comunicativi che intende raggiungere col suo discorso.

Orlando inizia il suo intervento puntando a conquistare gli astanti con la simpatia e un modo di fare giocoso. Il pubblico presente è formato, in gran parte, di attivisti e militanti di Rifondazione super-identificati emotivamente col partito, venuti al dibattito, più che altro, per poter vedere da vicino il loro leader (Bertinotti).

Orlando si presenta cercando di chiarire la sua esatta collocazione politico-ideologica, un intento lodevole, ma fatto in modo tale da far passare in secondo piano il contenuto di quello che sta dicendo, che, se fosse compreso correttamente dal "pubblico-tifoso" di Rifondazione, provocherebbe reazioni ostili. L'abilità di Orlando è soprattutto quella di una sorprendente capacità comunicativa di tipo emotivo, di risultare simpatico, di fare battute; in questo modo egli riesce a dichiarare di essere:

  • "un radicale e un moderato" senza suscitare sorpresa o stupore per due aggettivi così apertamente in contrasto tra loro;
  • "non sono un comunista ..." senza suscitare nessun dissenso nello stesso pubblico che invece si era infiammato all'intervento di Ripa di Meana.

Dopo questa prima fase introduttiva, Orlando inizia un vero e proprio esempio di "comizio demagogico", integrato con sporadici accenni a fatti di quei giorni, utilizzandoli in modo qualunquistico. Il suo scopo principale sembra essere quello di voler catturare nuovo elettorato, cercando di attirare verso di se il popolo comunista presente, utilizzando alla perfezione tematiche e valori per tradizione della sinistra, ma presentandoli in modo talmente generale da risultare assolutamente vuoti di reale contenuto e utili solo a creare una emotività favorevole al suo intervento.

Tutte le questioni affrontate da Orlando erano a un livello molto generale, tale da non offendere nessuno e di risultare in accordo con tutti. Anche in caso di interventi e di domande rivoltegli dagli altri relatori, Orlando riusciva a dire di essere d'accordo, rispondendo poi in modo evasivo e superficiale.

L'efficacia dell'intervento di Orlando non va però sottovalutata. E' infatti abilissimo, direi quasi sistematico, nel suo uso sapiente delle "ripetizioni" di concetti semplici (quasi degli spot), chiari, generali. Se si fosse chiesto al pubblico, un'ora dopo la fine del dibattito, cosa aveva detto Orlando, la risposta sarebbe stata immediata e unanime: "ha parlato della solidarietà".

In effetti Orlando, nel suo intervento, ha ripetuto almeno una trentina di volte la parola "solidarietà", ponendola abilmente in contrasto con il temine "egoismo". E' evidente a tutti che i due termini utilizzati hanno entrambi delle connotazioni molto forti e contrastanti: "solidarietà" è un termine talmente positivo in sè, che probabilmente sarebbe condiviso anche da elettori della destra (per lo meno nei termini generali con cui lo proponeva Orlando); mentre "egoismo" ha connotazioni talmente negative che anche un individualista negherebbe categoricamente di essere egoista.

Tutto l'intervento è ruotato intorno a questo contrasto "solidarietà-egoismo" tenuto a un livello molto generale, assolutamente demagogico, strumentale a catturare le simpatie dei presenti, ma privo, nella sostanza, di contenuto reale.

L'intervento si chiudeva con quello che ormai sembrava un ritornello imparato a memoria da tutti i leader presenti che sarebbero dovuti entrare nell'alleanza elettorale del centro-sinistra: "pari dignità all'interno della federazione del centro-sinistra" e "ogni partito mantiene la sua identità".

Nel suo complesso l'intervento di Orlando sembra applicare le seguenti regole:

  • "non è importante quello che si dice, ma come lo si dice";
  • "l'importante è ripetere all'infinito un concetto semplice, chiaro, immediato, generale e condivisibile da tutti";
  • "bisogna rasentare la banalità nei discorsi, per poter colpire positivamente l'emotività del pubblico".

Insomma, Orlando ha applicato le tecniche pubblicitarie ai discorsi politici in occasione di dibattiti con rapporto diretto col pubblico.

 

1.4 - Considerazioni finali sui tre interventi analizzati

La scelta di questi tre interventi, tra i tanti che ho seguito nella prima quindicina di luglio, non è casuale, risponde a esigenze tematiche e metodologiche.

I tre interventi costituiscono tre modi diversi di comunicare col pubblico: Bertinotti usa molti concetti complessi in sequenza veloce, questo lo pone in contrasto con la strategia comunicativa di Orlando che, invece, usa pochi concetti semplici e generali ripetendoli all'infinito; Ripa di Meana si distingue per una trattazione che mira all'approfondimento delle issues, diluita nel tempo e riflessiva, purtroppo senza l'appoggio di un "carisma comunicativo" e di una simpatia che invece contraddistingue gli altri due oratori.

Dal punto di vista metodologico, tutti e tre sono intervenuti allo stesso dibattito, consentendomi così di mantenere costante la variabile "pubblico" e permettendomi di porli legittimamente a confronto tra loro.

Allo stesso dibattito hanno partecipato anche: Claudio Burlando (PDS), Valdo Spini (laburisti, o socialismo europeo), assente Giovanni Bianchi.

Come si può facilmente notare, i politici presenti rientravano tutti nell'area politica di sinistra o centro-sinistra, mancava quindi un confronto vero con i reali avversari elettorali. Si potrebbe ipotizzare che il dibattito, privo di contraddittorio, e condotto, dalla maggior parte dei politici presenti, in modo da catturare il pubblico con le più note tecniche pubblicitarie o demagogiche, avrebbe potuto quasi far cambiare posizione a un eventuale elettore di destra presente.

Questa ipotesi però ha avuto una smentita empirica, anche se non statisticamente rilevante. Ero, infatti, riuscito a portare ad assistere al dibattito una mia amica che definirei "il tipico elettore della destra di oggi", che ritenevo rifiutasse la sinistra per mancanza di conoscenza diretta. Ebbene, questa "tipica elettrice" ha così sentenziato alla fine del dibattito: "quello che ho visto oggi conferma quello che pensavo [...] se questa è la sinistra, non voterò mai a sinistra [...]".

Questa frase mi ha lasciato a bocca aperta, senza parole. Deve far riflettere. Anche se si tratta di un caso singolo, sono pronto a scommettere che anche gli altri elettori di destra avrebbero reagito allo stesso identico modo.

Le strategie comunicative utilizzate non erano prive di fondamento o inappropriate, anzi raggiungevano il loro scopo di confermare la fede politica nell'area di sinistra di chi già era di quella parte. Ma allargando il discorso a platee più ampie, come quelle televisive, è necessario che i leader di quest'area politica rivedano, almeno in parte, le loro strategie comunicative, cercando tematiche o metodi che consentano di catturare anche l'elettorato della parte opposta, e non solo quello degli alleati della stessa area politica, altrimenti le vittorie e l'alternanza non verranno mai.

Al di là di queste considerazioni forse troppo "giornalistiche" e poco accademiche, è utile, per tutte le parti politiche, uno studio attento delle strategie comunicative sia degli avversari, sia degli alleati, sia delle proprie, per correggere eventuali errori o per ottimizzarle. Una corretta ed efficace strategia comunicativa è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per vincere qualsiasi confronto politico, elezioni comprese.

Ovviamente è auspicabile un cambiamento istituzionale radicale, per fare in modo che l'attenzione si sposti di più sul contenuto, sulle issues, piuttosto che sulle strategie elettorali o sulla persona del candidato. Ma non è questa la sede per un simile dibattito che trascende il tema qui in questione, pertanto rinvio tale discorso a sedi più appropriate.

 

2 - Comunicazione politica non-verbale

2.1 - "Non porta la cravatta? E' un intellettuale di sinistra" di F. Alberoni

Come preannunciato nell'introduzione a questa parte della tesina, riporto qui di seguito il testo di un articolo comparso sul Corriere della Sera a firma del noto sociologo F. Alberoni, nell'ormai tradizionale spazio a lui concesso nella prima pagina di ogni lunedì:

"[...] Tutti i movimenti, nessuno escluso, producono un proprio stile di abbigliamento, di acconciatura, dei simboli con cui esprimono i loro valori, le loro credenze, il loro atteggiamento verso la vita.

[...] Nel XX secolo tutti i grandi movimenti politici erano immediatamente riconoscibili dalla "divisa". I fascisti con la camicia nera, i nazisti con la camicia bruna, i comunisti con le bandiere e il fazzoletto rosso, i maoisti con la tuta azzurro indaco, i castristi con la divisa militare. Gli studenti del '68 portavano il mongomery. Invece i Black Muslism di Malcom X, per indicare il loro rigore in contrasto con il disordine del ghetto nero, vestivano in modo impeccabile in grigio, con camicia e cravatta.

Anche i movimenti non politici hanno usato l'abbigliamento o l'acconciatura per trasmettere i loro valori. [...]

Ancora oggi, dalla foggia dell'abito, dal fatto di portare o no la cravatta, dalla forma della barba, si può intuire la collocazione politica di una persona o, perlomeno, il tipo di messaggio che vuole dare. Incominciamo con Berlusconi. Quando incontra i giornalisti a casa, in modo non ufficiale, veste in modo casual sportivo. Ma quando parla in modo ufficiale porta sempre un doppiopetto con cravatta scura. E' il suo modo di dire che fa le cose con grande professionalità e serietà. Fini invece, porta vestiti più chiari, una eleganza più leggera. Perchè non vuole apparire rigido, vuole eliminare dalla propria immagine ogni possibile riferimento alla durezza.

Gli intellettuali di sinistra, di solito, invece evitano un abbigliamento formale. Molti non mettono la cravatta. [...] Qualcuno toglie anche la giacca. [...]

Altri portano la barba un po' lunga. E' un modo di opporsi, di dissacrare. [...]"

Questo articolo, al di là delle critiche metodologiche che gli si possono rivolgere per aver inopportunamente mescolato analisi sociologiche di comportamenti di gruppi, con analisi delle strategie di immagine di singoli leader (che non sempre, come nei casi di Berlusconi e Fini, riescono a imporre il loro look al loro elettorato; Berlusconi riesce a imporre la sua "divisa" solo ai membri del suo staff e ai candidati-servi del suo partito-azienda), offre l'opportunità di considerare la comunicazione politica anche sotto l'aspetto non-verbale, di analisi dell'immagine o di simboli che non sono certo nuovi ai movimenti collettivi, di qualunque natura essi siano (politici, religiosi, ecc.).

Nel campo dell'utilizzo di simboli per cercare di far identificare il proprio elettorato, un maestro è stato, negli anni più recenti, U. Bossi. La Lega ha cercato un'immagine vincente e combattente da porre sulla sua bandiera, trovandola nel guerriero con la spada al cielo (Alberto da Giussano), sovrapponendola a uno sfondo bianco (colore con connotazioni positive: il bene, la pace, ecc.) e una croce rossa. Ma non basta l'immagine della bandiera per provocare identificazione e attrazione per un partito, è necessario che questa, oltre a diffondersi, diventi simbolo di una fede, e questo risultato è (o era) stato ottenuto provocando una specie di identificazione da tifo calcistico nel movimento, del tutto irrazionale ed emotivo, fondato cioè sul modo aggressivo di porsi verso gli altri partiti, in quel momento delegittimati dagli scandali di tangentopoli. Si sono poi aggiunti altri "oggetti-simbolo", come le monete della Lega, le statuette del guerriero e una serie quasi infinita di "souvenir" che permettevano di creare un legame molto forte tra il partito e i suoi elettori. Gli ideali e le issues potevano cambiare nel tempo (e così è stato), ma la simbologia doveva rimanere la stessa, per dare quel senso di continuità emotiva che permetteva di tenere legato a se l'elettorato ormai identificato. Insomma abbiamo avuto la fortuna (da un punto di vista sociologico) di assistere in questi ultimi anni alla nascita di partiti importanti, e di notare le diverse strategie da essi utilizzati.

L'altro grande stratega della comunicazione non verbale è stato l'imprenditore Berlusconi, che non ha esitato a utilizzare tutti gli strumenti possibili per ottenere ciò che più gli interessava, cioè la conquista del potere, ma di lui e delle sue strategie si è già diffusamente parlato, evito quindi di ripetermi.

 

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