Luca Gandolfi

Dottore in Scienze Politiche

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LA COMUNICAZIONE POLITICA MASSMEDIALE IN ITALIA:

APPROCCIO INTEGRATIVO

 

In questa seconda parte della mia tesina è mia intenzione cercare di fare un'analisi che risponda ai criteri metodologici che ho già enunciato altrove. In particolare prenderò in esame la comunicazione politica nel medio-lungo periodo e, successivamente, nel breve periodo. In realtà una simile separazione è in parte artificiosa, poichè spesso le analisi del primo tipo risultano utili alla spiegazione dei fenomeni del breve periodo e con esse si integrano; in ogni caso tale suddivisione appare necessaria a fini analitici.

L'ipotesi che intendo sostenere è che i media in generale, e in particolare la televisione, hanno un enorme potere sull'opinione pubblica e in parte riescono a condizionarla, soprattutto nel lungo periodo.

Saranno aggiunti altri elementi alle analisi, già condotte da altri studiosi, sul caso Berlusconi, cercando, per lo più, di evitare di ripetere i concetti già espressi nella prima parte di questo lavoro e limitando l'esposizione prevalentemente alle sole novità.

E' necessario avvisare il lettore che tutto ciò che verrà esposto e sostenuto in questa seconda parte deriva da un'osservazione attenta dei fatti e a una loro libera interpretazione, senza però avere la pretesa di essere una verità assoluta ed esaustiva, e cosciente del fatto di avere solo il valore di un'ipotesi.

 

1 - Analisi di medio-lungo periodo

1.1 - TV, politica e potere

E' utile iniziare l'analisi della comunicazione politica massmediale di medio-lungo periodo cercando di risolvere una questione "teorica" che riveste anche una notevole importanza dal punto di vista pratico: "il potere dei media". Occorre porsi una domanda, apparentemente elementare: "i media (la televisione) sono o no potenti nel lungo periodo?" e "in cosa consiste questo potere?".

Prima di tentare di dare una risposta a queste domande, bisogna spiegare cosa sia "il potere" e dove esso si trovi.

Se per "potere" si intende la possibilità (nel nostro caso dei media) di condizionare totalmente e in modo certo l'opinione pubblica, allora è ovvio che le risposte alle domande che ci ponevamo dovrebbero essere negative. Ma sarebbe fuorviante e limitativo interpretare "il potere" in questo modo. Fuorviante, perchè anche se il condizionamento riguardasse una minima percentuale del pubblico, potrebbe essere ugualmente importante e quindi i media, essendo fonte di potenza, dovrebbero essere considerati potenti. Limitativo, perchè il potere si manifesta in modi diversi, attraverso mezzi differenti, e a più livelli.

Un primo livello di potere può essere quello di cercare di condizionare l'opinione pubblica, ma in sè, questo non è un potere, lo diventa solo quando, grazie a questo possibile (ma non certo) condizionamento, riesce a determinare delle maggioranze parlamentari in un regime democratico. Ma l'esperienza di Tangentopoli ci insegna che a volte (e sembra spesso) il vero potere si trovi altrove: nei grandi gruppi economici, nelle lobbies, nei gruppi di interesse che riescono, con il loro operato sotterraneo a determinare sia l'attività legislativa che quella esecutiva. Se questo secondo livello di potere si verificasse sempre, allora perderebbe d'importanza il primo livello che abbiamo proposto, poichè si svuoterebbe di significato e apparirebbe solo come una semplice formalità. Nella realtà il potere si trova in entrambi i livelli, come pure in molti altri che non elenco ma che esistono è hanno una grande importanza.

Il potere, quindi, non è mai assoluto, esistono sempre numerose fonti di potere che rendono impossibile una definizione precisa ed esaustiva del termine. Diciamo, comunque, che uno dei possibili significati di "potere", soprattutto riferito al discorso sui media, è "la possibilità di condizionare l'opinione pubblica, seppure in modo solo parziale e non certo".

Possiamo ora cercare di dare una risposta alle domande che ci ponevamo all'inizio. Per fare ciò, prenderò spunto da una frase di Livolsi. Egli sostiene che:

"i media non riescono a imporre nel breve periodo ciò che non è già presente e significativo nel sociale".

Ho deciso di citare questa frase per esprimere il mio parziale disaccordo con questo tipo di argomentazioni che sembrano voler limitare l'analisi al breve periodo, come se i media non svolgessero una azione importante anche nel medio-lungo periodo, riuscendo così a condizionare in parte "ciò che - secondo l'espressione di Livolsi - è già presente e significativo nel sociale". Il sociale stesso viene in parte costruito col contributo dei media, della loro agenda e della loro logica che, come abbiamo visto nella prima parte di questo scritto, sembra divenire sempre più importante.

Emblematica l'opinione espressa da Funari, secondo cui:

"molti dicono che a livello di elezioni e di risultati la televisione è molto importante. Io dico che è molto importante non durante la campagna elettorale, ma durante la legislatura. E' lì che si creano opinioni, movimenti o pressioni."

In questa frase, implicitamente, il noto conduttore ci svela lo scopo delle sue trasmissioni da "Mezzogiorno italiano" in poi, e cioè:

  1. creare opinioni;
  2. formare movimenti politici;
  3. fare pressioni.

Da questa frase emerge anche un altro dato importante: la piena consapevolezza del potere della televisione nel lungo periodo da parte dei professionisti che vi lavorano.

Il potere della televisione nel lungo periodo è notevole, ne sono ormai coscienti anche numerosi uomini politici, come appare ad esempio dalla frase di Bertinotti:

"[...] Qui siamo in una condizione in cui la televisione vive 365 giorni all'anno, e in questo fa opinione politica [...] questa situazione è assolutamente anomala [...] solo in Italia uno dei contendenti è uno dei monopolisti della comunicazione di massa [...] La televisione è un grande soggetto della politica, insisto, non negli ultimi 30 giorni della campagna elettorale, ma nei 365 giorni dell'anno."

Gli unici a sembrare non completamente convinti dell'enorme potere della televisione, e dei media in generale, nel lungo periodo, sembrano essere proprio gli studiosi della comunicazione di massa, spesso più intenti a mostrare i limiti di tale potere o le cause esterne ai media, piuttosto che porre nella dovuta evidenza cosa i media riescano a fare e come.

Sembra ovvio, a mio parere, che i massmedia sono solo "uno strumento", ma giova ricordarlo per non cadere nell'errore opposto di sopravvalutarli. Non è, infatti, esatto dire che "i media sono potenti", in realtà essi sono "uno strumento di potere, per la conquista di altro potere, a diversi livelli e in diversi modi". Occorre però anche ricordare che spesso chi ha accesso ai media il potere già ce l'ha, e, soprattutto, chi possiede le televisioni e/o i giornali ha alle spalle un grosso potere economico. I limiti sembrano quindi rivolti più verso chi può sfruttare lo "strumento di potere", che verso il potere che può essere generato da questo strumento.

Altrettanto ovvio è che una grossa parte dell'efficacia dell'azione dei media, e quindi del loro potere, dipende da chi e da come lo usa. Per chiarire meglio il concetto, si potrebbe considerare i media come un'arma da fuoco, una pistola ad esempio. Anche la pistola, come i media, sono "uno strumento di potere", anche se in questo caso "il potere" consiste nella possibilità di provocare la morte altrui. Anche qui si tratta di "un potere potenziale", poichè se chi ha in mano la pistola non la sa usare, le possibilità che il suo uso sia efficace diminuiscono. Se però la persona armata si trova di fronte a una persona priva di armi, le probabilità di ottenere l'effetto desiderato aumentano notevolmente. Viceversa, se sono opposte due persone armate di pistola, è più probabile che prevalga chi è più esperto nel suo utilizzo. Esiste anche la possibilità che uno dei due abbia un'arma più potente: un mitra, una bomba a mano, un carro armato ecc. (i diversi livelli di potere), in questo caso aumenta sia la potenza potenziale dell'arma, che il know-how necessario per il suo uso corretto e efficace.

Tornando ai media, e uscendo dalla metafora, essi costituiscono uno "strumento di potere" molto potente, soprattutto se lo si sa usare nel modo adeguato, come ha dimostrato di saper fare Berlusconi, e se non c'è un avversario in possesso delle stesse "armi" e con la medesima abilità.

La televisione è ormai diventata "l'arma delle rivoluzioni moderne", grazie proprio alla sua capacità di costruire, anche attraverso una strategia multimediale, l'agenda politica dei partiti e dell'opinione pubblica. Ed è proprio con questo utilizzo nel lungo periodo che i media manifestano tutta la loro potenza, col vantaggio che è meno visibile di una eventuale campagna di condizionamento nel breve periodo, quindi più efficace e con una probabilità molto alta di riuscita, sempre, ovviamente, che vi sia il controllo (ad esempio con la proprietà, ma non solo) di uno o più canali mediali e che li si sappia utilizzare in modo adeguato. E questo, come vedremo tra breve, si è verificato in Italia, in special modo dalla fine del 1991 a oggi (gennaio 1996) e sicuramente continuerà nel futuro.

Fino a questo momento mi sono limitato a esporre le mie ipotesi, mantenendomi su un livello abbastanza astratto. Cercherò ora, attraverso una analisi dei fatti politici, sociali e comunicativo-mediali degli ultimi anni, di mostrare e rendere così evidente a tutti, mondo accademico compreso, come si sia attuata una strategia mediale di imposizione di priorità, di issues e di agenda che ha permesso: prima, l'affermazione di una forza nuova (la Lega) che ha destabilizzato un sistema che sembrava in equilibrio perenne, contemporaneamente alla delegittimazione di una intera classe politica di governo da più di 40 anni, e, infine, l'affermazione diretta di uno dei massimi imprenditori italiani. Tutto questo non è successo per caso, sia chiaro. E' stato progettato bene e con la dovuta cura. Le sue origini possono addirittura farsi risalire alla fine degli anni '70 e inizio '80 con la nascita, in Italia, della televisione privata. Per motivi di spazio e di tempo limiterò la mia analisi del medio-lungo periodo agli ultimi anni. Per convincere anche i più restii a credere a questa "strategia mediale di lungo periodo programmata", è forse utile citare alcune righe del mio libro "Democrazia Diretta - La mia religione", scritto a cavallo del 1991-92, in cui intuivo che era in atto una operazione mediale per l'entrata in scena di Berlusconi (e scusate se è poco!), anche se il suo nome non veniva mai fatto direttamente. Questo è il brano:

"C'é qualcosa di poco chiaro in quello che sta succedendo in Italia, ho l'impressione che sia in atto un'enorme lotta di potere fra i potenti, e che la Lega altro non sia che uno dei tanti strumenti nelle mani di uno di questi potenti. Queste "lotte fra potenti" non considerano la popolazione, anzi cercano di sfruttarla strumentalizzandone le dimostrazioni spontanee, di influenzarla e di guidarla nella direzione voluta.

Chi può avere un potere così immenso pur rimanendo nell'ombra? chi ha interesse a cambiare le cose? e in che modo vuole cambiare?

In che modo vuole cambiare, questa é l'unica domanda a cui mi sento di dare una risposta sicura. Ai miei occhi risulta fin troppo chiaro che ci sono enormi pressioni per portare l'opinione pubblica ad accettare o addirittura a desiderare un regime più autoritario, che conceda maggiori poteri al governo e sempre meno agli elettori [...]; e la distanza fra cittadini e governanti aumenterebbe invece che diminuire.

Esiste poi una sempre più forte spinta secessionista che tende a separare il Nord dal resto d'Italia, ma questa spinta non viene dalla Lega, la Lega ne é solo uno strumento, viene utilizzata per creare dissapori, sfiducia nel Governo, e per inculcare nelle menti una divisione dell'Italia che il federalismo in realtà non prevede. Chi ha interesse a creare questa scissione del Nord dal resto dell'Italia? Sono le stesse persone, o meglio, gli stessi potenti, o meglio ancora, gli stessi gruppi di interesse che hanno ritenuto opportuno sostenere e finanziare la Lega consentendone un così forte sviluppo. Sono gli industriali del Nord, grossi, medi, e piccoli che vogliono entrare in Europa senza alcun freno, senza "palle al piede" come il Centro e il Sud Italia.

E' un caso forse che l'inchiesta Mani Pulite sia partita così forte? No, ciò é potuto accadere solo grazie alla collaborazione degli industriali coinvolti che hanno provocato una crisi profondissima e di dimensioni enormi nei partiti politici, l'unico modo per escluderli dal potere e sostituirli col partito da loro creato e controllato: la Lega. Questa crisi politica é stata progettata nei minimi particolari da chi rappresenta oggi "l'antigoverno", e che, probabilmente, fra non molto verrà allo scoperto, se siete attenti già lo sta facendo. Ma questo "antigoverno" ha origini lontane nel tempo, più di dieci o quindici anni almeno, e ha dovuto conquistarsi il suo potere lentamente e sfruttando tutti gli strumenti possibili, creando un'immagine positiva attorno a se e, allo stesso tempo, un impero, sia all'interno dell'Italia, che all'esterno (con minore successo).

Chi controlla l'antigoverno non vuole correre rischi inutili, programma tutto con precisione, vuole essere sicuro di avere un potere indistruttibile, col consenso della popolazione, l'acclamazione, ma senza rischiare di dare ai cittadini un minimo di potere, anzi togliendogliene parte di quello già misero che hanno. Vuole governare una "democrazia passiva", dove i cittadini hanno un ruolo solo marginale.

Per raggiungere questo risultato, che sembra sempre più vicino, non ha tralasciato niente, ha portato avanti questo discorso curando tutti gli aspetti con precisione, raggiungendo un controllo sempre più totale su tutti i fattori che caratterizzano una società: culturali, mediali, politici, economici e sociali.

Questa é la mia impressione su ciò che sta avvenendo oggi in Italia, può essere che io mi sbagli, ma non credo proprio, sono anche convinto che "il caso Funari" possa essere un tassello in più, utile per ricomporre il quadro completo della situazione."

La lunga citazione era necessaria per mostrare come, in realtà, chiunque possa rendersi conto delle strategie mediali in atto, purché attento e fornito di un minimo di conoscenze sulla materia. Il problema è che, purtroppo, "il telespettatore comune" si pone di fronte al mezzo televisivo in cerca di svago, spesso distratto e superficiale nel valutare ciò che gli viene proposto. Per questo è scorretto definirlo "attivo" o "passivo", oppure "ignorante" o "pecorone". In realtà lo spettatore può essere più opportunamente stigmatizzato come "disattento", "ingenuo" e "indifeso" da uno strumento, la televisione e i media in generale, che in quasi tutte le sue produzioni può nascondere delle issues politiche e culturali in grado di condizionare la formazione delle persone e la loro visione del mondo.

 

1.2 - Il caso Berlusconi (analisi di lungo periodo)

Per analizzare "il caso Berlusconi" nel medio-lungo periodo è opportuno, prima di tutto, ribadire che coloro i quali interpretano la sua vittoria come il risultato di una operazione organizzativa di tre mesi (come spesso si è sentito dire) sbagliano. Si è trattato, come già accennato, e come vedremo meglio tra poco, di una lunga operazione sviluppata nel corso degli anni, con continui riadattamenti dei programmi in funzione delle contingenze dei vari momenti storici.

Sbagliano anche coloro che considerano alcuni fatti delle ultime elezioni politiche, quelle del '94, come il necessario e logico risultato di alcune "cause esterne ai media", come l'introduzione del sistema maggioritario e la crisi dei partiti tradizionali. Questi due "fattori esterni" in realtà sono il risultato di una operazione mediale che è iniziata nel '91, guidata da fonti di potere in parte esterne alla politica, ma non esterne ai media, che hanno cercato, con successo, di distruggere il precedente sistema di potere che aveva governato l'Italia fino a quel momento. Per ottenere ciò, lo "strumento" massmedia, in particolare la televisione e i quotidiani (grazie alla rassegna stampa alla fine dei TG, come spiegato nella parte prima), ha imposto, creando anche i presupposti per farla accettare, la sua agenda politica agli stessi partiti.

Un elemento nuovo, almeno per l'Italia, è stata la nascita di una trasmissione politica quotidiana che durava tutto l'anno, tenendo così sotto pressione i politici, il loro operato e, allo stesso tempo, stimolando una maggiore attenzione per "la nuova politica" più spettacolarizzata.

Questa trasmissione così importante e innovativa nel suo genere e formato era "Mezzogiorno italiano" condotta da Gianfranco Funari (sulle reti Fininvest di Berlusconi, è bene ricordarlo), ed è quanto meno curioso che proprio questo personaggio televisivo abbia detto la frase che ho citato in apertura di questa seconda parte del mio saggio, riconoscendo a pieno titolo l'immenso potere della televisione nel lungo periodo.

Questo programma televisivo, apparentemente innocuo e neutrale (così almeno ci assicurava "il giornalaio" più famoso d'Italia), ha introdotto anche delle novità importanti, prima fra tutte, la presenza in video dei giornalisti della carta stampata, con l'apparente funzione di intervistare i politici di turno, ma con "la funzione nascosta" di legittimare una ristretta élite di questi, erano infatti presenti in studio sempre gli stessi giornalisti (anche se si alternavano di settimana in settimana), amplificando così il loro potere di fare opinione grazie alla "personalizzazione" e "leaderizzazione" di questi personaggi, fino a quel momento solo dei nomi senza volto posti alla fine di un articolo.

Vi è stata anche la costruzione della credibilità come giornalista di Liguori, che dopo poco divenne il direttore di Studio Aperto. Tra questi giornalisti vi erano anche degli "esterni", cioè dei personaggi non facenti propriamente parte della carta stampata, ma che, in un modo o nell'altro, erano vicini alla politica. Bisogna anche notare come questa trasmissione abbia reso note persone fino a quel momento sconosciute al grande pubblico, come la Maiolo e il futuro ministro (senza portafoglio) della famiglia del governo Berlusconi, Guidi.

Tutta la trasmissione, come anche altre delle reti Fininvest, e alcune delle reti RAI (per interessi diversi), premeva per il cambiamento, o meglio, per essere più precisi ripeteva quotidianamente il ritornello "gli italiani vogliono un cambiamento, vogliono il nuovo, sono stufi del vecchio". Questo aveva il compito, tutt'altro che facile, di scuotere dal torpore una popolazione che per cinquant'anni aveva, più o meno, votato sempre alla stessa maniera, convincendola che questa "voglia di nuovo" nascesse effettivamente dal basso, dalla gente, quando invece era stata creata ad arte dalla fonte di potere che nel brano poc'anzi citato definivo "l'antigoverno". A questo "antigoverno" del '91-92 possiamo oggi dare un nome: Berlusconi, l'uomo che rende difficile capire se il potere sia nei media (in realtà uno strumento utile per ottenerlo), nell'economia (elemento indispensabile e che si confonde col potere stesso) o nella politica (strumento democratico per la legittimazione dell'uso del potere di governo).

Torniamo, ancora per un momento, alla trasmissione di Funari. E' stata questa a lanciare in Italia un'altra importante innovazione delle strategie comunicative massmediali della politica: l'uso continuato e pervasivo del sondaggio. Un sondaggio tutt'altro che scientifico, ma sicuramente utile per il fine che si prefiggeva, fare pressione continua sul mondo politico, imporre delle issues e creare opinioni, formare nuovi movimenti politici (la Lega), cioè tutti gli elementi che Funari stesso ha enumerato nella frase citata. Ad avvalorare poi l'ipotesi di una strategia berlusconiana di lungo periodo, un sondaggio proposto da Funari nel 1991 in cui si chiedeva se Berlusconi sarebbe stato un candidato gradito per la carica di sindaco di Milano; scontato il risultato, ma utile per mostrare come già allora si stesse preparando il terreno per "la discesa in campo" del padrone della Fininvest.

Funari, inoltre, ha più volte fatto credere di essere di sinistra, pur dichiarandosi super partes. Questo per catturare un pubblico proveniente dalle file avversarie di Berlusconi (anche se all'epoca di "Mezzogiorno Italiano" non si sapeva ancora che sarebbe entrato in politica direttamente) e cercare di modificare la sua formazione culturale con un lavoro sotteraneo, svolto giorno dopo giorno introducendo frasi e argomentazioni tipiche degli intellettuali di destra.

Questa tecnica è usata spesso anche all'interno di molti telefilm, da "Dallas" in poi, ed è una strategia tipica del medio-lungo periodo. Fino ad ora, per quella che è stata la mia esperienza personale, l'ho individuata solo in un solo verso: catturare un pubblico di sinistra, proponendo nelle prime puntate (di solito almento una decina, per consolidare un pubblico fedele) storie, visioni del mondo e valutazioni tipiche della sinistra, per poi lentamente trasformarle in issues di destra, "convertendo" così, nel lungo periodo, gli ignari spettatori. In "Dallas", ad esempio, nelle prime 20 puntate vi era una critica, a volte aspra, della famiglia "capitalista" Ewing, mentre nel proseguio del serial si è avuta una completa trasformazione sia del giudizio generale, che della caratterizzazione di molti dei personaggi principali, la più clamorosa delle quali, a mio parere, è stata quella di Cliff Barnes, da politico idealista a petroliere avido di potere e denaro. Come "Dallas" vi sono molti altri telefilm e serial che adottano la medesima tecnica, creando così un condizionamento culturale pervasivo, sviluppato nel lungo periodo, e una pressione costante dei media sulla formazione ideologica dei telespettatori.

Per sostituire la vecchia classe politica non bastava però la semplice pressione dei media, era necessario che questa si concretizzasse in una nuova forza politica, la Lega, e che questa si potesse affermare anche grazie a un nuovo sistema elettorale costruito su misura per favorirla, ottenuto anche attraverso una continua proposta in tal senso fatta attraverso i media. Ma tutto ciò non era ancora sufficiente per scalzare gli ancora forti partiti tradizionali, bisognava delegittimarli, infangarli. E così e stato, grazie alla quotidiana sovraesposizione multi-mediale che si è data a tangentopoli e ai politici corrotti, guardandosi bene, però, dal porre in evidenza che un ruolo di primaria importanza era stato svolto da tutto il mondo della grande economia e finanza italiana, i corruttori, con i politici come meri strumenti per un governo che sembrava veramente poco democratico e che toglieva ogni valore alle elezioni politiche. Tutto questo è rimasto sullo sfondo, e alla gogna sono finiti solo i membri della vecchia classe politica. Un esempio di come i massmedia possano distorcere la realtà evidenziando solo una parte della verità. Ma questo era inevitabile, visto che la proprietà dei massmedia privati in Italia è nelle mani dello stesso mondo economico che la magistratura ha posto sotto accusa e sta processando (non solo Berlusconi).

Il programma di Funari ha collaborato, assieme ad altre trasmissioni, a creare un clima generale nella società civile e nell'opinione pubblica, tale da consentire la nascita di un nuovo movimento politico, la Lega, che si proponesse come sostituto alla vecchia classe politica delegittimata. Si è così realizzato un gioco di reciproco interesse tra la Lega, impaziente di svolgere un ruolo importante e di imporre la sua agenda politica, e chi intendeva strumentalizzare l'affermazione di questo partito nuovo per distruggere il vecchio ceto politico. La Lega ha visto nell'appoggio delle reti Fininvest un'inattesa opportunità e ha cercato di sfruttarla fino in fondo, consapevole delle difficoltà che aveva avuto fino a quel momento a livello massmediale, per l'opposizione forte di quella vecchia classe politica ancora al potere in quegli anni.

"Mezzogiorno italiano" è stato sicuramente un tassello importante nella strategia massmediale di lungo periodo di Berlusconi, ma non sicuramente l'unico. Un altro fattore fondamentale è stata "la conquista dei TG", all'inizio degli anni '90, delle reti commerciali, fino a quel momento private di questa possibilità. Proposta, dagli stessi media privati, come una forma di maggiore libertà di opinione e di pluralismo, in realtà, priva di una seria regolamentazione, si è rivelata una potentissima arma di pressione e di formazione dell'opinione pubblica e dell'agenda politica, sia nel lungo sia nel breve periodo. La possibilità, offerta a Berlusconi, di controllare (in qualità di proprietario) le tre maggiori reti commerciali del nostro paese e, di conseguenza, tre dei sette TG a diffusione nazionale, gli ha consentito, nei periodi "di calma", di diversificare il ruolo di questi tre appuntamenti quotidiani. Il TG4, condotto da Fede, subito apertamente di impronta Berlusconiana, seppur in modo differente dall'odierno prima che l'imprenditore decidesse di trasformarsi in politico. Mentre il TG5 e Studio Aperto, prima della "discesa in campo" erano impegnati a legittimarsi e crearsi un loro pubblico proponendo le notizie in modo più spettacolare e "urlato" (Mentana).

All'operazione di legittimazione dei TG Fininvest ha partecipato anche la trasmissione di Funari, come anche tutte le altre trasmissioni giornalistiche o di opinione del biscione.

Sempre grazie alle reti Fininvest sono nati e si sono affermati molti personaggi che in seguito hanno svolto una attività di primo piano all'interno del governo berlusconiano. Oltre ai già ricordati Guidi e Maiolo, dalle reti Fininvest sono "nati" personaggi come Sgarbi, a cui è stata affidata da qualche anno la conduzione di un programma di condizionamento culturale quotidiano, chiamato appunto "Sgarbi quotidiani". Programma in cui l'ex professore universitario e pseudo-intellettuale gioca con la sua capacità locutoria, privo di un qualsiasi reale contraddittorio, per imporre la propria opinione al pubblico. Continuando nell'elenco, possiamo ancora citare Ferrara e Letta, come pure molti altri.

Il partito Forza Italia ha raccolto al suo interno "uomini-video" dei quali era stata curata la costruzione di un'immagine pubblica, frutto di una strategia di lungo periodo, e "uomini-azienda" che provenivano dalle dirigenze delle imprese economiche del leader del movimento, legati a questo da un doppio cordone ombelicale (il legame di dipendenza nel lavoro e comuni interessi economici).

Se queste possono essere considerate alcune delle principali strategie massmediali di medio-lungo periodo, riferibili soprattutto all'uso delle reti Fininvest, altre sono state le strategie di lungo periodo che hanno riguardato la costruzione dell'immagine vincente del personaggio Berlusconi.

Berlusconi è sempre stato molto attento a costruire un'immagine personale positiva, di imprenditore vincente, di grande costruttore (Milano 2 e 3), di uomo che ha rivoluzionato l'emittenza televisiva in Italia conquistando il diritto alla vita delle TV commerciali, di salvatore del Milan calcio e, infine, di nuovo leader vincente della politica italiana. Come si può facilmente notare, questa attenzione all'immagine personale non nasce con il Berlusconi-politico, ma fin dagli inizi della sua attività imprenditoriale. Come ciò gli sia stato possibile non spetta a me stabilirlo, certo è che non ha mai nascosto i suoi stretti legami di reciproco interesse con il potente, fino a qualche anno fa, leader politico Craxi; come pure non si può dimenticare il suo coinvolgimento nella loggia massonica P2 che mirava a costruire un sistema di governo parallelo a quello ufficiale, un "antigoverno" insomma. Abbastanza curioso che nei progetti di Licio Gelli vi fosse la conquista del potere politico di governo dopo aver conseguito un controllo diffuso sul sistema massmediale in Italia e magari in Europa. Tentativo riuscito, il primo; fallito il secondo. Ma ai fini del nostro studio sulle strategie di lungo periodo di Berlusconi, queste affermazioni hanno solo il valore di semplici coincidenze, anche se riconducibili a dati di fatto.

E' utile proporre al lettore qualche accenno sulla strategia di immagine personale sviluppata da Berlusconi attraverso il Milan calcio, perché in essa si possono individuare caratteristiche che sono state poi ritrovate nelle sua strategia di immagine di leader politico di Forza Italia.

Grazie al suo enorme potere economico, Berlusconi ha costruito una squadra di calcio vincente a livello italiano, europeo e mondiale. Ha attuato una politica economica di compra-vendita dei giocatori che ha stroncato le squadre più deboli economicamente, creando un'impennata nel costo dei giocatori più importanti: un libero mercato non concorrenziale, dove solo poche società erano in grado di reggere il confronto. Questa la strategia per stroncare la concorrenza e assicurarsi le vittorie della squadra, strumentali alla costruzione di un'immagine personale di presidente-vincente. La strategia d'immagine del Milan, infatti, è una "strategia di gruppo vincente", in cui le singole personalità, pur eccezionalmente valide, vengono annullate in favore di colui a cui, nell'immaginario collettivo, deve essere attribuito tutto il merito delle vittorie: Berlusconi. Non è così, invece, la strategia di immagine della Juve, che periodicamente sceglie una o due individualità su cui centrare tutta l'attenzione e i meriti delle vittorie (la Juve di Platinì, la Juve di Baggio, la Juve di Vialli).

Berlusconi ha comprato il Milan come ulteriore strumento da utilizzare per la costruzione di una immagine personale vincente che viene posta molto al di sopra di tutte le altre, pure notevoli, dei calciatori e degli allenatori.

Come è stato per il Milan, così è stato per Forza Italia, partito dotato al suo interno di numerosi personaggi noti al pubblico grazie alla televisione, dotati ciascuno di notevoli capacità comunicative e di una propria immagine pubblica, affiancati da dirigenti d'azienda probabilmente validi, ma che a livello di immagine pubblica risultano sconosciuti. Comunque, nel suo complesso, "una squadra vincente", che viene però annullata dall'immagine di leader assoluto costruita e centrata su Berlusconi. Tutto ciò che di positivo viene fatto, come ad esempio vincere le elezioni, viene attribuito alle capacità "quasi divine" del suo leader, ed è lui che prende tutte le decisioni, sempre accettate di buon grado dai suoi "umili e fedeli servitori". Questo almeno è quello che la strategia di immagine nel lungo periodo di Berlusconi-politico ci consente di vedere.

E' opportuno ricordare come Berlusconi abbia sfruttato fino in fondo il suo legame col mondo del calcio, dando al suo partito il nome di "Forza Italia" nell'anno dei mondiali in cui quello sarebbe stato l'urlo più diffuso nella popolazione italiana (pubblicità indiretta e gratuita). Ha inoltre continuamente parlato di "squadra" e di "discesa in campo" per richiamare alla memoria collettiva le imprese "miracolose" della sua squadra, il Milan. In questo caso si può notare come le strategie di breve periodo si legano e si intersecano con quelle di lungo periodo, fino a divenire quasi una sola strategia indistinguibile.

Questa immagine positiva, costruita così meticolosamente nel lungo periodo, ha però dovuto sopportare duri colpi dopo la decisione di entrare direttamente in politica. Soprattutto nel periodo di governo, sono emersi i difetti di questa persona, difetti che fino a quel momento erano stati opportunamente occultati grazie alla sua politica di immagine centellinata dalle starategie di "assenza e presenza", di "attesa e discesa in campo". Sono emersi i difetti caratteriali dell'uomo Berlusconi, le sue intolleranze, le sue rigidità mentali e le sue convinzioni assolutiste, oltre ai limiti nelle sue capacità di governare e alla sua totale incapacità di considerare gli aspetti sociali che le attività di governo comportano. Oltre a ciò la sua immagine personale è stata messa in difficoltà dal suo coinvolgimento in numerose indagini della magistratura.

Quello che comunque mi premeva porre nella dovuta evidenza, e che ormai dovrebbe essere emerso dai discorsi e dalle analisi fin qui condotte, è che la strategia di Berlusconi non si è limitata al breve periodo, a cui hanno dato notevole risalto tutte le recenti analisi degli altri studiosi giunte a mia conoscenza, ma, anzi, ha fatto grande affidamento su una "strategia di lungo periodo" che ha coinvolto diversi ambiti: dall'immagine personale; alla costruzione di un impero economico e finanziario; ai legami e, forse, al controllo dell'azione di leader politici potenti; alla costruzione di un quasi-monopolio multimediale (3 reti TV, numerosi giornali, e un monopolio quasi assoluto della pubblicità in Italia grazie alla Pubblitalia) e alla perfetta gestione di strategie multimediali quotidiane e pervasive. Questi, grosso modo, alcuni degli elementi fondamentali per spiegare la vittoria elettorale del '94. Come si vede, tutto ciò avvalora l'ipotesi di un grosso potere dei media nel lungo periodo, che però, nel caso di Berlusconi viene amplificato dalla sua posizione assolutamente unica a livello mondiale, non solo per le tre televisioni in suo possesso, l'elemento più visibile su cui si è centrata l'attenzione di molti, ma anche per il suo potere pervasivo che invade ogni campo e ogni settore della società italiana. Egli riunisce in se i tre massimi poteri, o strumenti di potere (che dir si voglia), oggi esistenti nelle società complesse occidentali:

  1. il potere multi-massmediale;
  2. il potere economico e finanziario;
  3. il potere politico (prima indirettamente attraverso Craxi, adesso direttamente tramite la sua persona).

Difficile stabilire il peso che hanno avuto singolarmente ciascuno di questi poteri, ma questo non inficia l'ipotesi portata avanti fino a questo momento dell'enorme potenzialità della televisione e degli altri massmedia come strumento di potere nel lungo periodo.

Da ciò si può anche trarre un'ulteriore conclusione, si può cioè evidenziare di quanto sia necessaria e urgente una riforma integrale e totale del sistema televisivo italiano e la sua attenta e precisa regolamentazione, con la creazione di un organo effettivamente in grado di controllare, e eventualmente sanzionare severamente e immediatamente chi cerca di utilizzare i massmedia per scopi di manipolazione o condizionamento della società e non per i fini più nobili a cui essa potrebbe essere destinata.

 

1.3 - La sinistra nel medio-lungo periodo

Per ovvi limiti di spazio non è possibile compiere una vera e propria analisi di lungo periodo della comunicazione politica massmediale della sinistra italiana, vista la sua secolare storia. Restringerò quindi l'ambito temporale della mia analisi agli anni più recenti, con qualche breve accenno ai decenni precedenti. Come già detto, mi limiterò a porre in evidenza gli elementi nuovi che possono integrare le analisi degli altri studiosi esposte nella prima parte di questo lavoro.

Prima di tutto bisogna ribadire una grave responsabilità politica della sinistra italiana, cioè la sua incapacità di valutare correttamente le conseguenze di una legislazione assolutamente inadeguata a riguardo della televisione (L 1990 n°233, detta comunemente "legge Mammì") e a una totale mancanza di applicazione delle regole di deontologia professionale dei giornalisti per una corretta e imparziale informazione. La sinistra si è lasciata trascinare nel consociativismo e nella lottizzazione delle reti televisive pubbliche, adagiandosi su una facile conferma dei lusinghieri, seppur non vincenti, risultati che tale sistema massmediale, unito al sistema elettorale proporzionale, le consentivano di ottenere, perdendo, tra l'altro, anche la capacità di proporre una politica e una cultura realmente alternativa.

Questo tipo di sistema che si era instaurato e stabilizzato per quasi cinquant'anni, ha fatto in modo che nel tempo la sinistra perdesse le sue capacità di lotta politica e affievolisse le sue richieste di radicale cambiamento della società. Così, quando questo sistema, che sembrava indistruttibile ed eterno, si è rotto, con lo scatenarsi degli scandali di tangentopoli, con le riforme elettorali e, contemporaneamente, sono emerse delle nuove forze politiche con nuove tematiche (la Lega col federalismo), nuovi mezzi (Forza Italia con Berlusconi proprietario di 3 canali televisivi) e nuove e più efficaci strategie massmediali, la sinistra si è trovata in grossa difficoltà. Difficoltà anche causata dal fatto che, sfruttando la lottizzazione delle reti pubbliche, la sinistra ha progressivamente perso quello che era il suo punto di forza nei primi decenni dopo la nascita della "prima Repubblica", cioè la sua diffusione e il suo radicamento sul territorio. Questo ha aggravato ancor di più la già difficile situazione che si è presentata con la rottura del precedente equilibrio, soprattutto dopo l'entrata in scena del potente uomo d'affari e proprietario delle tre maggiori reti televisive commerciali, Berlusconi.

E' cambiato il sistema elettorale, è cambiato il modo di fare comunicazione politica dai massmedia e sono cambiati gli avversari da affrontare. La sinistra si è trovata in enormi difficoltà per riadattarsi al nuovo modo di far politica, è sembrata indecisa se puntare su un rafforzamento del suo elettorato tradizionale o se, invece, cercare la conquista dell'enorme spazio lasciato libero dai vecchi partiti di governo. Indecisione che invece non si è verificata nello schieramento opposto.

Dopo la delusione della sconfitta, seppur di stretta misura (21,5% FI, 20,5% PDS), delle politiche del '94, una parte della sinistra, il PDS, sembra aver optato con decisione verso la conquista dell'elettorato di centro, stravolgendo però molte delle sue tematiche tradizionali. La scienza della politica sembrerebbe confermare la validità di tale scelta, anche se personalmente nutro seri dubbi, per due ordini di motivi. Primo, quello spazio libero e quell'elettorato mobile che nel '94 era di grosse dimensioni, potrebbe essersi ridotto notevolmente. Secondo, intravedo il serio rischio di uno scollamento di una parte notevole dell'elettorato fedele del PDS, anche se forse ancora privo di alternative valide. Si creerebbe così un nuovo spazio libero, questa volta a sinistra, ma dubito che Rifondazione Comunista abbia le capacità strategiche e comunicative adeguate per conquistarlo, nonostante la validità di molte sue issues.

Ritengo inoltre, ma è solo un'opinione politica personale, che lo spostamento al centro del PDS equivalga a una sconfitta tematica. Potrebbero, con i loro alleati, anche vincere le elezioni, ma lo farebbero con argomenti e proposte politiche che hanno perso molte delle caratteristiche del pensiero e della cultura di sinistra e sono diventate troppo simili a quelle del vecchio centro DC. Vincerebbe il centro, non la sinistra.

 

2 - Analisi di breve periodo

Questo tipo di analisi è già stata approfondita bene dagli studiosi presentati nella prima parte di questo lavoro, pertanto la mia opera di integrazione sarà più limitata di quella richiesta dall'analisi di lungo periodo. Procederò, comunque, seguendo uno schema di lavoro simile al precedente, affrontando prima questioni più teoriche e astratte riguardanti "il potere dei media nel breve periodo", per poi analizzare i casi concreti delle strategie comunicative massmediali di breve periodo utilizzate nelle elezioni politiche del '94 (puntando, anche in questo caso, una particolare attenzione sul "caso Berlusconi") e nei Referendum del '95 (con particolare riguardo a quelli sulla televisione).

 

2.1 - TV, politica e potere

Anche nel caso dell'analisi di breve periodo della comunicazione politica massmediale è opportuno porsi le domande: "i media (in particolare la televisione) sono o no potenti nel breve periodo? In cosa consiste il loro potere e come viene utilizzato?".

Le risposte credo siano già emerse durante la valutazione delle analisi svolte da altri autori, presentate nella prima parte di questo breve saggio. Sono risposte positive, anche se con le solite necessarie precisazioni, prima fra tutte che la televisione, come pure gli altri massmedia, è "uno strumento per conquistare il potere", anche se spesso vi hanno accesso persone che in qualche ambito il potere già ce l'hanno. Ricordo ancora una volta il significato che, in questo lavoro, attribuisco al termine "potere" riferendolo ai massmedia: "la possibilità di condizionare l'opinione pubblica, seppure in modo solo parziale e non certo", in questo caso analizzato nel breve periodo.

Molti studiosi sostengono che il potere dei media nel breve periodo è limitato al "rafforzamento" delle opinioni pre-esistenti, mentre risulta molto limitata la possibilità che questi riescano nella difficile impresa di modificare la posizione delle persone su determinate questioni, in special modo le scelte politiche.

Benché questa opinione abbia solide basi empiriche, cercherò di dimostrare come, in particolari condizioni, il potere dei media di far cambiare opinione sia tutt'altro che irrilevante. Insomma, anche nel breve periodo la mia ipotesi di lavoro rimane quella di "massmedia potenti", anche se le strategie comunicative messe in atto nel breve periodo sono differenti da quelle di lungo periodo, pur facendo leva sulle condizioni create da queste. Sicuramente i risultati ottenibili sono meno sicuri e più facilmente condizionabili da cause esterne ai media (a volte imprevedibili), in cui, comunque questi possono svolgere un importante ruolo di amplificazione o di occultamento della notizia.

Cercherò di dimostrare queste mie ipotesi attraverso una analisi delle strategie comunicative messe in atto nelle elezioni politiche del marzo 1994 e nei Referendum del 1995.

 

2.2 - Le elezioni del 27-28 marzo '94

Le elezioni politiche del '94 sono state il centro focale dell'interesse degli studiosi presentati nella prima parte, le loro analisi hanno sviscerato quasi tutti i possibili aspetti della comunicazione politica massmediale. Tuttavia alcune osservazioni, pur corrette, sono rimaste senza una reale spiegazione del motivo per cui alcuni fenomeni si sono verificati. Da queste analisi è emerso un quasi unanime consenso sul fatto che queste elezioni sono state caratterizzate da una maggiore attenzione sui maggiori leader ("personalizzazione") e sulle policy issues piuttosto che sulle tradizionali political issues. Questa, però, è una semplice constatazione di alcuni dati di fatto, manca la spiegazione del perchè ciò si sia verificato, mentre invece sono state fornite alcune cause esterne ai media che hanno favorito il verificarsi di questi fenomeni (vedi le analisi della Prima Parte del testo).

A mio parere, il motivo di fondo è da ricollegarsi a una strategia politica che tendeva alla cancellazione del centro, inteso come "cancellazione dei partiti di centro", proponendo uno scontro mediale incentrato sul contrasto "destra vs sinistra", il tutto finalizzato alla conquista della massima quantità possibile di quell'elettorato "lasciato libero" dagli ex partiti di governo in crisi profonda dopo gli scandali di tangentopoli.

Centrando l'attenzione sui candidati (i leader di partito soprattutto) piuttosto che sui partiti, si è cercato di ridurre il legame, fino ad allora stretto, che vi era tra questi e il loro elettorato fedele, aumentando, di conseguenza, la possibilità che cambiassero abitudine di voto, non solo per spostarsi verso un altro partito, ma anche per fare in modo che si realizzasse una mobilità di area politica. Si è realizzato così un passaggio da un sistema centripeto a uno centrifugo, ma non ancora, come era nelle intenzioni, a uno bipolare. In questo senso, quelle del '94, sono state delle "elezioni di transizione", anche per via di un sistema elettorale maggioritario imperfetto che ha mostrato subito i sui limiti (torneremo più avanti sulla questione).

Ad avvalorare questa ipotesi di "elezioni di transizione", il fatto che vi è stata una notevole difficoltà, da parte di tutti, nell'adattarsi a questo nuovo sistema elettorale, sia da parte di molti partiti e politici (soprattutto della sinistra), sia da parte degli elettori, che di molti autorevoli commentatori politici che hanno continuato a esprimere pareri e valutazioni sui risultati delle elezioni come se si trovassero ancora nel sistema proporzionale. I risultati, infatti, sarebbero stati più correttamente valutati se si fosse posto in evidenza il n° di seggi attribuiti a ciascuno schieramento e forza politica, piuttosto che basarsi, come è stato fatto, sulle percentuali nazionali dei voti di ciascun partito.

Passiamo ora ad una analisi più dettagliata delle varie strategie comunicative massmediali di breve periodo messe in atto durante questa tornata elettorale, centrando soprattutto l'attenzione su quelle di Berlusconi.

 

2.3 - Il caso Berlusconi (analisi di breve periodo)

Un ruolo importante, nelle strategie di breve periodo di Berlusconi, lo hanno svolto "i sondaggi". Sorvoliamo sulla questione, pur fondamentale, della loro validità e attendibilità scientifica, poichè non sono in mio possesso i dati per compiere una simile critica metodologica, sebbene il sospetto sia diffuso. Vediamo invece di chiarire quale sia stato lo scopo del loro uso e su chi, probabilmente, sono stati più efficaci.

Il loro ruolo è stato quello di legittimare la posizione primaria e vincente che Berlusconi e FI volevano assumere. Si è fatto leva su alcune caratteristiche, o debolezze, degli esseri umani, note anche a Pareto: "il bisogno di uniformità" e "la voglia di sentirsi tra i vincitori".

Queste sono due debolezze dell'animo umano che assumono una importanza notevole nel momento in cui vengono a mancare quelli che, fino a quel momento, erano stati degli stabili punti di riferimento. Nelle elezioni del '94 era successo proprio questo, e la quantità di elettorato mobile e indeciso aveva proporzioni straordinarie, ed era in cerca di nuovi e stabili punti di riferimento. Berlusconi ha puntato in modo deciso alla conquista di questa porzione di elettori, e con l'uso dei sondaggi ha cercato di mostrare che il suo partito sarebbe stato un punto di riferimento solido e duraturo, appagando così quelli che erano i bisogni di quell'elettorato libero.

Una classificazione, senza la pretesa che sia esaustiva, delle categorie di persone su cui i sondaggi risultano più efficaci potrebbe comprendere al suo interno: gli indecisi; gli elettori privati dei loro riferimenti politici tradizionali; i perdenti e i falliti in cerca di rivincita; i sognatori ad occhi aperti; gli insicuri, bisognosi di una guida forte. Come si noterà, molte di queste categorie riguardano delle caratteristiche psicologiche, elemento che, a mio parere, riveste una fondamentale importanza per la riuscita delle strategie massmediali, poichè esse, per risultare efficaci, devono sapere perfettamente a quale tipo di pubblico si rivolgono per essere costruite su di esso.

Proprio questo ha fatto Berlusconi, anche grazie ad un uso continuo, quasi quotidiano, dei sondaggi, per stabilizzare la sensazione della sua forza di impatto elettorale e per aggiungere credibilità ai risultati dei sondaggi stessi. Inoltre, i risultati di questi sondaggi venivano resi noti attraverso tutti i media, e discussi anche nei giorni seguenti la loro pubblicazione, sia per ampliarne la diffusione della conoscenza, sia per aumentarne l'efficacia.

Non di soli sondaggi è stata caratterizzata la strategia di comunicazione politico-elettorale di Berlusconi nel breve periodo. Importanti sono stati anche, come già accennato altrove, i TG delle tre reti Fininvest, che hanno messo in atto quello che io chiamo "il gioco dei tre TG". Proprio grazie al numero non unitario, è stato possibile adottare delle strategie diversificate tra i tre TG, tali da colpire diversi settori di pubblico e, di conseguenza, di potenziali elettori.

Il TG4 di Emilio Fede può essere stigmatizzato come "il TG di Arcore", con la proposizione delle notizie in esplicita chiave berlusconiana, quasi fosse l'organo ufficiale del partito. Rivolto quindi, in special modo, a coloro che erano già propensi a votare per l'imprenditore del Nord.

Il TG5 di Mentana, che abbiamo già definito "urlato", potremmo, in questo caso ribattezzarlo come "il TG della finta opposizione e neutralità", per il suo tentativo, assolutamente strumentale, di apparire neutrale, soprattutto se confrontato con quello di Fede. In un certo modo, il TG di Mentana ha applicato la stessa strategia della trasmissione di Funari e di molti telefilm, già spiegata in precedenza. Il suo ruolo era, e continua a essere, quello di catturare un pubblico non filo-berlusconiano o non di destra, per poi cercare di convertirlo, o, quantomeno, di indebolire i suoi legami ideologici con la sinistra. Questa apparente neutralità scompare però in occasioni particolari, come vedremo tra breve.

Studio Aperto di Liguori (costruito, come si ricorderà, nella sua figura di giornalista autorevole dalla prima trasmissione di Funari) potrebbe essere definito come "il TG pseudo-scientifico", per la sua pretesa di proporsi come un TG neutrale che presenta le notizie proponendole come "l'unica verità", "la verità assoluta"; aggiungendovi, sia nel servizio filmato, che in uno spazio apposito in coda alla trasmissione, delle valutazioni di parte, spesso senza un contraddittorio, facendole passare come ragionamenti logici: "gli unici ragionevoli, per persone ragionevoli".

Come accennavo poco fa, in particolari condizioni, questi tre TG hanno temporaneamente abbandonato le loro strategie per unificarsi in una azione di pressione molto forte su un partito, su uno schieramento, sul Presidente della Repubblica, sulla Magistratura o sull'opinione pubblica. Il caso più eclatante, in questo senso, si è verificato subito dopo le elezioni per convincere Bossi e la Lega ad entrare nel Governo Berlusconi assieme anche ad Alleanza Nazionale. In quell'occasione la pressione è stata assai evidente (rivedersi i filamati dei TG per rendersene conto) e i media-Fininvest hanno applicato in modo pieno ed esplicito tutta la loro forza di impatto sull'opinione pubblica (non solo tramite i TG, ma con tutte le trasmissioni in cui ciò poteva essere possibile). Operazione che ritroveremo, con una forza addirittura maggiore, solo in occasione dei Referendum sulla TV del '95.

Si è criticata qui l'assoluta mancanza di professionalità e di rispetto per la deontologia professionale dei giornalisti Fininvest, ma non per questo bisogna ritenere che quelli delle reti RAI siano un esempio di neutralità o di imparzialità nel proporre le notizie. Mi asterrò però dall'analisi di questi TG per limiti di spazio e perchè intendo centrare la mia analisi nel breve periodo sulle strategie comunicative di Berlusconi. Propongo però al lettore di fare una riflessione, confrontando come vengono proposte le notizie dai TG RAI in occasione degli scioperi dei giornalisti, con la normale attività di tali TG. Personalmente ritengo che da tale confronto emerga in modo evidente la parzialità dei TG RAI, che scompare quasi in modo totale durante gli scioperi, quando le notizie sono fornite in modo essenziale e senza l'ausilio di servizi filmati. La parzialità, in questo caso, è più difficile da costruire.

Da segnalare che, in occasione degli ultimi scioperi di categoria dei giornalisti (nel 1995), il TG4 di Fede e Studio Aperto di Liguori non hanno aderito allo sciopero, forse per una onestà intellettuale, non potendo considerarsi dei veri giornalisti, ma più probabilmente per motivi strumentali e di giochi politici (dare rilievo al caso Mancuso delle pagine non lette, ma subito diffuse nel contenuto da questi TG).

Fino a questo momento si sono prese in esame le strategie comunicative messe in atto dalle reti Fininvest nel breve periodo. Passiamo ora ad analizzare, nello stesso ambito temporale, le strategie comunicative del personaggio Berlusconi.

La strategia comunicativa di Berlusconi, nel periodo di campagna elettorale (comprendendo in esso anche quello di pre-campagna) e in quello del suo Governo, è stata caratterizzata costantemente da una "mistificazione della realtà" e da un "sistematico rovesciamento del rapporto causa-effetto".

Nel termine "mistificazione della realtà" ricomprendo sia la comune demagogia e qualunquismo tipico dei nostri politici (quelli definiti da Berlusconi "vecchia classe politica"), sia un vero e proprio uso sistematico della menzogna finalizzata a chiari scopi strumentali (la conquista della vittoria elettorale, la giustificazione dell'operato del suo governo e dei suoi trascorsi di imprenditore). L'esempio più eclatante, in questo senso, è costituito dalla promessa elettorale di "un milione di posti di lavoro", già commentata e analizzata altrove.

Il "sistematico rovesciamento del rapporto causa-effetto" è stata l'arma verbale più utilizzata da Berlusconi in tutte le situazioni di crisi e di difficoltà. Questo ha permesso di far sembrare delle pure opinioni di parte avversa, dei dati di fatto. Gli esempi più noti ed evidenti possono essere quelli che hanno riguardato la Magistratura, accusata da Berlusconi di "complottare contro di lui" e di essere "serva della sinistra", quando, invece, fino a prova contraria (che Berlusconi non ha portato), la Magistratura e i giudici sono soggetti solo alla legge, e quando qualcuno indica una pista da seguire essa ha il dovere, attraverso l'azione dei corpi di pubblica sicurezza, cosa che è stata fatta. Il secondo caso è quello che ha riguardato il rapporto tra Berlusconi Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Repubblica Scalfaro, coperto più volte di accuse gratuite. Tutto ciò, oltre a confondere le menti degli italiani, ha posto in contrasto i vari poteri e organi costituzionali, creando anche un clima di forte tensione sociale.

L'apice della strategia del "sistematico rovesciamento del rapporto causa-effetto e della realtà" è stato raggiunto non da Berlusconi personalmente, ma attraverso la bocca di Liguori, durante lo spazio dedicato ai commenti alla fine di Studio Aperto, quando il direttore del TG di Italia 1 ha affermato: "[...] la sinistra, ultimamente, sta usando mezzi molto scorretti [...] usa in modo sistematico il rovesciamento del rapporto di causa-effetto, dando la colpa a chi non ce l'ha e a chi è la vittima - cioè, secondo lui, Berlusconi - e non a chi ha provocato il fatto". Frase che, credo abbia lasciato sbigottiti ed increduli gli eventuali intellettuali che seguivano la trasmissione. In questo caso è emersa anche una strategia di attribuzione all'avversario delle proprie tecniche scorrette, per impedire anche che questo potesse accusarlo della stessa cosa senza sembrare ripetitivo.

Un altro metodo per spiazzare l'avversario, utilizzato da Berlusconi, è stato il proporre le tematiche tipiche dello schieramento politico opposto, come se fossero proprie (vedi il discorso sulla solidarietà e i posti di lavoro, già analizzato in precedenza).

Va anche ricordato che tutte queste strategie sono state propagandate attraverso operazioni multi-massmediali e con un uso smodato della "ripetizione di slogan semplici".

In precedenza abbiamo già analizzato le strategie legate al linguaggio ("traditori", "ribaltone" ecc.), e allo sfruttamento del legame di Berlusconi col mondo del calcio, eviterò quindi di riproporre le considerazioni già fatte, invito però a ricordare che esse fanno parte delle strategie comunicative di breve periodo, anche se si riferiscono a fatti avvenuti nel tempo. E' comunque curioso che già Pareto, circa un centinaio di anni fa, avesse già rilevato l'importanza dell'uso di determinate parole. Così si esprimeva il grande studioso:

"[...] non ha alcuna importanza essere razionali o logici, ma invece dare l'impressione di ragionare; [...] esistono delle parole che esercitano una specie di effetto magico sulle folle e che, pertanto, conviene usare queste parole, anche e soprattutto se non hanno un significato preciso".

Lo stesso Hitler dice cose molto interessanti, che possiamo ritrovare applicate nella strategia comunicativa massmediale di breve periodo di Berlusconi:

"[...] nell'organizzazione di una propaganda [...] bisogna limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle costantemente".

Allo stesso modo evito di riproporre le analisi e le valutazioni già esposte in precedenza sul "partito-azienda", su "gli uomini-video di FI" (quelli nati e creati dalle reti Fininvest) e sugli "uomini-azienda-servi fedeli" del suo partito.

Mi soffermo, invece, su un fattore che non è stato messo nella giusta evidenza dagli studiosi del settore e dai giornalisti. Il continuo parlare, nei media, delle tecniche e dei trucchi comunicativi di Berlusconi, sia in modo positivo che negativo, ha provocato l'effetto, voluto o meno, di dare a Berlusconi un immagine (da lui sicuramente voluta) di uomo che si organizza bene e sa quello che fa, meritevole quindi della fiducia degli elettori. Alla costruzione di un'immagine positiva ha anche contribuito la voce messa in giro dallo staff dell'imprenditore-politico secondo cui "Berlusconi ha messo in piedi un partito vincente - secondo i sondaggi - in soli tre mesi". Frase che, nell'immaginario collettivo, induceva a credere che, con la stessa rapidità con cui si apprestava a vincere le elezioni, avrebbe risolto i problemi dell'Italia. Ma questa affermazione, propagandata ad arte, era anche "un'arma a doppia efficacia", perchè nel caso in cui si fosse sostenuta la sua falsità dicendo che in realtà Berlusconi ha organizzato nel lungo periodo la sua entrata in politica, come ho fatto io in precedenza, si sarebbe corso il rischio di dare una immagine positiva e professionale di quest'uomo, che molti potrebbero trasferire dalla sfera comunicativa (dove effettivamente la sua professionalità è notevole) a quella politica.

Proprio questa tecnica, di trasferire una professionalità da un ambito ad un altro, è stata utilizzata da Berlusconi in più occasioni. Si è già ricordato e analizzato il caso del suo discorso registrato su cassetta e distribuito ai vari TG nazionali, ora intendo porre in evidenza un altro momento in cui Berlusconi ha proposto, in modo diverso, la stessa strategia verbale-comunicativa. Ciò è avvenuto quando è stato ospitato da Santoro nella sua trasmissione, durante la quale ha affermato "l'Italia ha bisogno di un imprenditore [...]", dando per scontato che quell'uomo fosse lui. Questa frase faceva riferimento a tutte quelle già espresse nelle occasioni precedenti e le sintetizzava in modo chiaro. Il messaggio implicito che si voleva, in questo modo, mandare al pubblico era: "votate per me perchè avete bisogno di un uomo come me e solo io posso risolvere tutti i vostri problemi". Colgo l'occasione per contestare il contenuto proposto da Berlusconi, cosa che avrebbe dovuto fare anche Santoro. Sfrutterò a questo scopo una fondamentale distinzione, già operata in passato da Schumpeter, tra "manager" e "imprenditori". Rielaborando il pensiero del grande studioso, si può considerare "manager" colui che ha compiuto studi specialistici per la gestione economica di un'impresa, ma che non necessariamente ne ha la proprietà; mentre "l'imprenditore" è colui che ha la proprietà dell'impresa e la gestisce, a suo rischio, con l'aiuto di numerosi managers. Grazie a questa distinzione si può contestare la frase di Berlusconi sostenendo che, al massimo, l'Italia può aver bisogno di un buon manager, ma non certo di un imprenditore, che, come tale, ha troppi interessi privati in gioco, cosa che un semplice manager può non avere. Personalmente dubito anche della validità della seconda affermazione, che restringerebbe l'attività di governo a un mero compito di gestione economica.

La strategia comunicativa di Berlusconi è parzialmente mutata nel corso del suo periodo di governo, durante il quale il leader politico, legittimato dal suo ruolo istituzionale, ha messo in mostra "una comunicazione a senso unico", cercando, finché ha potuto, di evitare il dialogo con le controparti, fossero i partiti all'opposizione, i sindacati o le piazze. Ha cercato di imporre in modo rigido e assoluto il suo pensiero, per mostrare forza e decisione, causando però una forte risposta nella società civile e nelle piazze, creando un clima di enorme tensione sociale. La mia opinione è che anche questo, che sembrerebbe un effetto non previsto e non voluto, sia il risultato di una precisa strategia comunicativa che voleva creare, in questo modo, un elettorato identificato che costituisse per il futuro una forte base elettorale per FI. Probabilmente, però, questa strategia ha anche avuto degli effetti imprevisti e indesiderati, provocando si una maggiore identificazione dei suoi elettori in FI, ma anche e soprattutto riunendo tutta la sinistra contro un unico avversario, odiato con tutte le forze: Berlusconi.

Dopo la caduta del suo governo, infatti, Berlusconi ha abbandonato questa strategia e ha allentato i termini della lotta, seppur solo temporaneamente e non subito. Anzi, nei giorni immediatamente successivi all'uscita della Lega dalla maggioranza che sosteneva il suo governo, Berlusconi ha messo in atto un'altra di quelle fasi di enorme pressione massmediale grazie all'uso totale delle sue tre reti televisive e dei suoi giornali per accusare Bossi e la Lega di "tradimento" e di "incoerenza", cercando di ridicolizzare e stigmatizzare come "inaffidabile" il leader della Lega, ponendo così in seria crisi l'esistenza stessa di questo partito, sia a livello parlamentare (molti deputati e senatori abbandonarono il partito), che a livello elettorale. Le difese di Bossi ci sono state, ed erano, a mio giudizio, anche giuste e legittime, ma poco hanno potuto contro un tale "uso totale" dei numerosi canali massmediali in possesso di Berlusconi.

Contemporaneamente alle accuse alla Lega, la comunicazione politica di Berlusconi si è concentrata, con la medesima forza massmediale, sul ritornello "andiamo al voto". A mio giudizio questa è stata una trappola in cui la sinistra è caduta ingenuamente, forse a causa di una mancanza di forze economiche necessarie per una eventuale nuova tornata elettorale. Dico che è stata una trappola perchè, secondo me, Berlusconi non aveva nessuna intenzione di tornare alle urne, e il modo più sicuro per evitare ciò era proprio gridare a piena voce di tornare a votare, convincendo l'avversario che egli avrebbe ancora vinto. Nessuno, tantomeno io, potrà mai dimostrare la verità di questa mia supposizione, come pure nessuno potrà mai dire cosa sarebbe accaduto se si fosse andati subito alle urne. La mia impressione rimane comunque quella che la sinistra abbia perso un momento giusto in cui il suo avversario era vulnerabile; ma queste sono solo valutazioni personali, senza alcun valore scientifico e con poca attinenza con la comunicazione politica, che costituisce l'argomento centrale di questa analisi.

Un'ultima considerazione sulle strategie comunicative mediali di Berlusconi e delle sue reti televisive. Molti studiosi hanno evidenziato come, nelle elezioni del '94, siano prevalse "le logiche televisive" su tutte le altre. A mio modo di vedere, è difficile, se non impossibile, separare "le logiche televisive" dalle strategie comunicative massmediali, sia di breve che di medio e lungo periodo, di Berlusconi, essendo questo uno dei maggiori "produttori di logiche televisive" in Italia.

 

2.4 - I Referendum del '95 sulla televisione

I Referendum del 1995 sulla televisione hanno rappresentato un caso più unico che raro per gli studiosi della comunicazione massmediale, in particolar modo, a mio giudizio, essi sono stati una verifica empirica in ambiente naturale su un'intera popolazione (e non su un semplice campione) che ha posto in evidenza quanto i massmedia, e soprattutto la televisione, possano essere potenti anche nel breve periodo.

Questo nulla cambia al significato del termine "potenza" dato in precedenza, cioè: "la possibilità di condizionare l'opinione pubblica, seppure in modo solo parziale e non certo". In questo caso il condizionamento ha riguardato una porzione assai rilevante della popolazione, in considerazione del fatto che, in occasione di numerosi sondaggi svolti nel corso degli anni precedenti (prendiamoli per buoni), sembrava vi fosse in Italia una netta maggioranza favorevole all'abolizione della pubblicità all'interno dei film, che si aggirava in intorno al 80% circa. Questo vuol dire che almeno un 30-35% della popolazione è stata convinta a cambiare idea. E' un dato di una rilevanza assolutamente eccezionale, che deve portare a una seria riflessione tutti quegli studiosi del settore fino ad ora convinti che l'unico potere dei massmedia fosse quello del rafforzamento delle opinioni pre-esistenti. In questo caso, circa 15-20 milioni di italiani hanno cambiato idea. Cosa è accaduto? Come è potuto succedere?

Già in altre sedi ho avuto modo di esprimere la mia opinione a riguardo, non mi risulta quindi difficile tentare di dare una risposta a queste domande.

Come abbiamo già detto, non si è trattato di un risultato normale, ma assolutamente eccezionale, come pure eccezionali sono stati i termini della lotta, o della "non-lotta", come vedremo tra breve. Da una parte vi erano i promotori del referendum, i comitati per il "SI"; dall'altra le reti televisive commerciali, in primo luogo e soprattutto le tre reti Fininvest di Berlusconi, ma non solo loro. Il ruolo di TMC è stato abbastanza ambiguo, da quando c'è Curzi come direttore del TG di questa emittente, si pensa che questo sia un canale legato alla sinistra e al PDS, come tale avrebbe potuto e dovuto svolgere una forte campagna a favore dell'abolizione della pubblicità nei film, che compensasse quella eccezionale condotta dalle reti Fininvest. In realtà due fattori avversi hanno fatto in modo che ciò non avvenisse:

  1. gli interessi economici di TMC, anch'essi legati alle entrate pubblicitarie (seppure mai esplicitamente ammessi);
  2. una quasi totale mancanza di attività e di organizzazione da parte dei comitati per il "SI".

Per ciò che riguarda il primo fattore, sembra già sufficientemente chiaro e intuitivo, anche se bisogna precisare che, almeno formalmente, TMC aveva preso posizione a favore dei comitati per il "SI", ma, nei fatti, la sua azione è risultata quasi invisibile se confrontata con l'enorme "campagna totale" svolta dalle reti Fininvest in favore del "NO", anche attraverso spazi pubblicitari sui maggiori quotidiani nazionali.

Soffermiamoci, per qualche istante, ad analizzare quali sono stati gli elementi più importanti della strategia comunicativa multi-massmediale, definita da me come "campagna totale", portata avanti dai comitati per il "NO", in particolar modo da Berlusconi. E' da rilevare, innanzi tutto, che, benché fosse nota a tutti la sua posizione a riguardo, Berlusconi non è mai intervenuto in prima persona nei dibattiti ufficiali sulla questione. Questo perchè egli era assolutamente cosciente che la sua credibilità a riguardo sarebbe stata molto bassa, per gli enormi interessi economici privati, visibili a tutti, che l'imprenditore-politico aveva in gioco. Ha quindi delegato ad altri il compito di difendere la sua posizione nelle tribune elettorali e nei dibattiti televisivi, e si è limitato a far sentire la sua voce attraverso la stampa o a brevi interviste durante i TG.

Ma quanto detto fino ad ora fa parte del normale gioco politico. Ciò che ha reso questa campagna assolutamente unica, facendola definire "campagna totale", è stata l'abnorme quantità di spot televisivi presenti a tutte le ore sulle reti Fininvest (ma anche su tutti gli altri canali televisivi, seppur con una frequenza molto inferiore), basati su un enunciato elementare, chiaro e semplice "se vuoi ancora vedere i film alla TV, vota NO", affiancato da una presa di posizione unanime dei conduttori di tutte le trasmissioni presenti sulle reti Fininvest. L'appello di questi uomini dello spettacolo, sulla breccia da anni e ormai nei cuori di ogni telespettatore, era straziane. Essi dicevano al telespettatore di "non metterli su una strada", di "non privarli del loro lavoro". Tutto ciò, mentre venivano trasmesse le immagini "storiche" degli inizi "dell'avventura delle TV private", che portavano il telespettatore a dolci e, allo stesso tempo, malinconici ricordi di "quello che era stato", e che "poteva non essere più". Impossibile dare un'idea di quella che è stata la "campagna totale" delle reti Fininvest, chi l'ha vissuta non può dimenticarla. Vale però la pena ricordare il gran finale, con una trasmissione non-stop a cui hanno partecipato tutti gli uomini dello spettacolo della Fininvest, che hanno ripercorso per ore tutte le tappe di queste TV commerciali, sempre in chiave emotiva, vittimista e "strappa-lacrime". Questa trasmissione ha anche commesso una gravissima irregolarità, da un punto di vista legale, che avrebbe potuto dare luogo a ricorsi al Garante e inficiare i risultati delle urne; essa è infatti terminata ben oltre la mezzanotte (verso l'1.15), termine in cui doveva cessare ogni tipo di propaganda elettorale, per dare modo all'elettore di riflettere. Così non è stato fatto. L'unico ricorso presentato al Garante, da lui valutato positivamente solo a due settimane dal voto (con sanzioni non adeguate, a mio parere) e poi annullato dal TAR di Milano, è stato quello per il mancato rispetto della "par condicio televisiva" degli spot sulle reti Fininvest.

Ma l'enorme "campagna totale" delle reti Fininvest, da sola, forse non sarebbe bastata per far vincere i "NO". Determinante, a mio parere, è stata l'assoluta disorganizzazione dei comitati per il "SI". Forse confortati dai dati dei sondaggi condotti negli anni precedenti e sicuri della vittoria, questi comitati si sono "astenuti dalla lotta", in una questione che, a rigor di logica, sembrava proporre una "comodità" in più per il telespettatore, dimenticandosi che di fronte avevano avversari assai abili nella comunicazione di massa e con enormi interessi economici in gioco, pronti, quindi, a giocare con tutte le armi in loro possesso.

I comitati per il "SI" e, assieme a loro, i partiti che li sostenevano, hanno pensato di condurre "una campagna al risparmio", limitando la loro presenza alle occasioni ufficiali (le tribune elettorali) e a pochi dibattiti, durante i quali, comunque, erano abilmente contrastati dai rappresentanti del "NO", seppur con argomentazioni per lo più "pseudo-logiche", che però, come si diceva in precedenza tramite la citazione di Pareto, sono le più efficaci. I comitati per il "SI", si potrebbe dire, hanno sperato "nella divina provvidenza" (rappresentata dalla persona del Garante), e "nella ragionevolezza degli uomini".

Agendo in questo modo hanno offerto agli avversari la possibilità di ottenere il massimo dell'efficacia dalla loro strategia comunicativa che, ricordiamolo, non è stata solo televisiva, ma multi-massmediale. Fornendo così agli studiosi un esempio pratico di come, a determinate condizioni, i massmedia possano svolgere una azione di "conversione" su una considerevole porzione della popolazione nel breve periodo, mostrando così, a pieno, la loro potenza.

 

3 - Sistema elettorale, leggi elettorali e riforme

Durante il corso di tutto lo scritto, si è più volte richiamato il nuovo sistema elettorale maggioritario, spesso preso come capro espiatorio di alcuni fenomeni e tendenze in atto nel paese. E' mia intenzione cercare di fare un po' di chiarezza in materia, prima spiegando, per sommi capi, cosa prevede il testo della legge n° 276 per il Senato e la n° 277 per la Camera, poi cercando di evidenziare quelli che, secondo me, sono gli inconvenienti maggiori di questo sistema.

Entrambe prevedono un turno unico, con l'attribuzione di 3/4 dei seggi con sistema maggioritario e del restante 1/4 con sistema proporzionale.

La legge per il Senato (la n° 276 del 1993) prevede che a ogni Regione venga assegnato un numero di seggi in proporzione alla popolazione residente, di cui i 3/4 vengono assegnati ad altrettanti collegi uninominali in cui vale il sistema maggioritario, mentre il restante quarto dei seggi è ripartito proporzionalmente nell'ambito di ogni circoscrizione regionale, fra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali. Viene proclamato eletto per ciascun collegio il candidato che ha ottenuto la maggioranza relativa di voti validi. Per l'assegnazione dei seggi con sistema proporzionale si adotta invece un complicato procedimento (detto "scorporo").

La legge per la Camera (n° 277 del 1993), invece, divide il territorio nazionale in 26 circoscrizioni elettorali, più la Valle d'Aosta, e ad ognuna assegna un numero di seggi in ragione della popolazione residente. Nelle singole circoscrizioni 3/4 dei seggi sono attribuiti con metodo maggioritario e 1/4 con metodo proporzionale. In questo caso vi sono due schede a disposizione dell'elettore, una per eleggere il candidato nel collegio uninominale, l'altra per la votazione della lista per l'assegnazione dei seggi a livello circoscrizionale. Si procede poi a diversi calcoli per il riparto dei rimanenti seggi col sistema proporzionale fra le liste con almeno il 4% a livello nazionale.

La spiegazione in chiave di Diritto Pubblico del sistema elettorale maggioritario introdotto in Italia dal 1993, serve per mostrare la poca chiarezza di questo sistema, nonostante la sintesi da me apportata.

Passiamo ora ad una analisi politologica di questo sistema elettorale. Molti studiosi di scienza della politica, come pure molti giornalisti e politici, hanno visto nel "sistema misto" (3/4 maggioritario e 1/4 proporzionale) il maggior inconveniente di questa legge, a volte soprannominata "pastrocchio".

Se è vero che il "sistema misto" non aiuta certo a far chiarezza, è anche vero che il vero inconveniente non risiede in questo, bensì in come è organizzata la parte di seggi assegnata con sistema maggioritario, poichè rappresenta solo una "finzione di maggioritario", e continuerebbe a creare problemi anche se non esistesse la quota di seggi attribuiti con sistema proporzionale.

In generale, si è sempre ritenuto in sede accademica che il sistema maggioritario avesse il pregio di concedere a chi vince una facile governabilità, e il difetto di non rappresentare in modo adeguato tutte le parti politiche presenti nel paese. Viceversa, al sistema proporzionale è sempre stato riconosciuto il pregio della perfetta rappresentatività democratica di tutte le parti politiche, e il difetto di consentire, nella maggior parte dei casi, solo governi di coalizione, con forte instabilità e difficile governabilità.

Ebbene, il nostro sistema elettorale, pur basato per i 3/4 sul maggioritario, non può garantire in nessun modo la governabilità. Questo per il fatto che esso è a turno unico, e non a doppio turno (come ad esempio è l'elezione dei sindaci delle grandi città).

Non basta. L'inconveniente più grave, a mio modo di vedere, è che questo sistema elettorale è assolutamente "disrappresentativo" delle forze politiche del paese, e tende a esaltare oltre ogni limite ragionevole quelle forze politiche che sono eccezionalmente forti in zone ben determinate del territorio nazionale (come era fino a qualche tempo fa la Lega). La causa di questa "disrappresentatività" va ricercata nel fatto che il maggioritario non è valutato a livello nazionale sulle varie liste, ma a livello di singolo collegio elettorale. E' un sistema molto pericoloso, lo ribadisco ancora e con tutta la mia forza, perchè può comportare dei casi estremi che stravolgerebbero tutte quelle che sono le garanzie previste in Costituzione per le votazioni con maggioranze speciali. Quali sono questi casi estremi così pericolosi? Da un lato, un caso di "assoluta ingovernabilità", perchè nessuna delle forze in campo si ritrova con una maggioranza parlamentare, e con alleanze impossibili, ma questo è il meno pericoloso, poichè vi si può porre rimedio tornando alle urne. All'altro estremo vi è invece il caso di "governabilità assoluta", in cui una forza politica conquista la quasi totalità dei seggi parlamentari perchè, almeno per la quota maggioritaria, nessuna delle altre forze politiche è in grado di vincere a livello dei singoli seggi, pur dotata di una grande forza a livello nazionale. E' un rischio tutt'altro che eccezionale, soprattutto qualora si giungesse a un sistema politico di bipolarismo perfetto, con due soli schieramenti in campo. Cosa farebbe in questa situazione uno schieramento con un forte seguito nel paese, ma quasi privo di rappresentanza parlamentare? Cosa farebbe e come si sentirebbe chi ha votato per questo schieramento? Ma soprattutto, cosa potrebbe fare lo schieramento vincente, dotato di una maggioranza parlamentare quasi assoluta, che gli permetterebbe in qualsiasi momento e senza sforzo di modificare la Costituzione a suo piacimento?

Una riforma di questo sistema è assolutamente necessaria e urgente, ma non tutti sembrano rendersene perfettamente conto. E' urgente soprattutto se si pensa a quello che si è dimostrato nel corso di tutto questo scritto, cioè la potenza dei massmedia sia nel breve che, soprattutto, nel medio-lungo periodo.

E' urgente anche una riforma delle leggi elettorali, assolutamente inadeguate alla realtà multi-massmediale del mondo moderno. A questo proposito vorrei aggiungere, a quella che è stata la mia analisi della situazione italiana degli ultimi anni e delle sue cause, una parte propositiva, che può essere riassunta in modo schematico in queste brevi regole:

  1. vietare gli spot elettorali (in qualsiasi periodo dell'anno);
  2. vietare gli spot di Governo (anche questi per tutto il periodo dell'anno);
  3. ridurre il periodo di campagna elettorale ufficiale a massimo due settimane;
  4. seguito da una settimana in cui sono vietate ogni genere di informazione elettorale, per far riflettere l'elettore;
  5. sanzioni e organi giudiziari adeguati.

"Gli spot", in generale, sono un modo per condizionare, attraverso una comunicazione massmediale emotiva, la volontà delle persone senza fornire loro una reale, completa e imparziale informazione, siano essi "spot elettorali", "spot commerciali" o "spot di Governo". L'ovvia conclusione è la loro abolizione, sostituendoli con trasmissioni informative e imparziali, in cui vi sia un reale e leale confronto fra i contendenti.

Una campagna elettorale di un mese, preceduta a volte da periodi di pre-campagna (come è accaduto nelle elezioni del '94), può comportare grossi rischi di condizionamento e di disinformazione dell'elettorato. Riducendo la lunghezza del periodo di "campagna ufficiale", eliminando la "pre-campagna" e aumentando il "periodo di riflessione" si riducono le possibilità di condizionare l'elettorato attraverso l'uso di strategie comunicative multi-massmediali che, come abbiamo visto, per essere efficaci, richiedono determinate condizioni, eliminate con questo tipo di regolamentazione.

Tutto ciò non basta se non vengono rafforzati il ruolo e i poteri del Garante, e se non gli viene data la possibilità di un intervento sanzionatorio immediato e più severo. Lascio agli specialisti del settore il compito di trovare le sanzioni adeguate per scoraggiare qualsiasi tentativo di evadere le regole.

Alle suddette riforme andrebbe aggiunta anche una legge anti-trust un po' più seria di quella vigente, che consentisse un mercato delle reti televisive commerciali realmente pluralistico e non monopolista come quello attuale. Lo stesso ragionamento andrebbe poi applicato a ogni altro genere di massmedia presente o futuro.

I discorsi condotti sul sistema elettorale, sulle leggi elettorali e sulle loro riforme non sono estranei alla comunicazione politica massmediale, perchè ne condizionano lo svolgimento e le forme. E' stato quindi di fondamentale importanza affrontare anche questo aspetto normativo del problema della comunicazione politica massmediale.

 

4 - Come vincere le elezioni

Chi si aspetta da questo paragrafo "una ricetta sicura" o delle "idee nuove e originali" per ottenere la vittoria in occasione di tornate elettorali resterà deluso. In esso, infatti, intendo solamente ribadire alcune delle "regole generali" che è opportuno seguire nel breve periodo per gestire al meglio le proprie strategie comunicative in queste occasioni.

Innanzi tutto suggerisco un uso sistematico e contemporaneo di più strategie e su diversi fronti: sia tramite i vari massmedia, sia attraverso un ritorno al radicamento sul territorio e il contatto diretto con la gente (possibilmente con soluzioni originali).

Invito tutti a una attenta riflessione sul fatto che, spesso, per gli intellettuali-politici è più facile vincere uno scontro verbale con una persona colta, piuttosto che convincere della bontà delle proprie argomentazioni chi è abituato a ragionare per stereotipi e in modo superficiale. "L'elettore comune", sembra quasi superfluo precisarlo, è sicuramente più simile al secondo tipo di persona, che al primo. Per riuscire nel difficile, ma necessario, obiettivo di "convertirlo" alle proprie idee, è opportuno, a mio giudizio, approfondire gli studi psicologici che permettano di individuare delle strategie efficaci per le persone abituate a questo tipo di ragionamento, da aggiungere a quelle già note. Spero che questo invito sia raccolto dal mondo accademico come stimolo per nuove e interessanti analisi.

 

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