Giugno 2008

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di Luca Gandolfi

[Articolo del 23.06.2008]

Campi nomadi: una politica che va ripensata

I recenti 25 arresti al Campo Nomadi Autorizzato di via Chiesa Rossa sono il risultato di una grave mancanza nella gestione e controllo del campo da quando è sorto ad oggi. Un fallimento forse voluto da chi ha amministrato Milano in questi anni (il centrodestra), ma che merita in ogni caso una seria riflessione e un profondo ripensamento.

Quando il campo è sorto si diceva che la politica dei campi nomadi “regolari” di piccole o medie dimensioni era funzionale ad un più facile controllo di queste realtà. Così non è stato. La realtà è stata quella di campi che diventavano sempre più delle terre di nessuno, o meglio, dei territori quasi invalicabili in cui vigevano delle regole che nulla o poco hanno a che vedere col sistema legale vigente nel nostro paese. Eppure, almeno per quanto riguarda il Campo Nomadi di via Chiesa Rossa, stiamo parlando di cittadini italiani a tutti gli effetti, nati e cresciuti nel nostro paese e che a pieno diritto hanno la cittadinanza italiana. Oltre ai Diritti esistono però anche i Doveri, primo fra tutti il rispetto delle Leggi dello Stato e questo deve valere per tutti i cittadini italiani, nessuno escluso, in base al principio che la Legge è uguale per tutti.

Gli errori nella gestione/controllo dei campi nomadi autorizzati sono iniziati da subito, da quando non è stata creata a livello centrale la Commissione apposita che pure era prevista sulla carta e che avrebbe dovuto svolgere un’operazione di supervisione politica della realtà che si era appena creata. Così non è stato e i Campi Nomadi Autorizzati sono stati, di fatto, abbandonati a loro stessi e sono ben presto diventati delle vere e proprie “fortezze” invalicabili.

Ne sappiamo qualcosa anche noi consiglieri di Zona 5 che il 17 aprile 2007 abbiamo fatto un sopralluogo annunciato nel campo di via Chiesa Rossa, scortati dalla Polizia Locale e, nonostante ciò, abbiamo dovuto subire minacce sia verbali sia fisiche da parte di alcuni soggetti presenti nel campo che non volevano assolutamente che venissero scattate foto o fatte riprese video all’interno del campo. In quell’occasione si è reso evidente che le uniche autorità che venivano riconosciute come tali erano i capi del campo. Ma questa non è altro che la naturale conseguenza dell’assenza prolungata dello Stato e delle sue istituzioni in tutti questi anni, una assenza che ha rafforzato la convinzione in chi vi era ospite autorizzato (e tralasciamo di ricordare tutti quei camper che, prima che iniziasse il nostro sopralluogo, sono usciti indisturbati dal campo) che quello fosse “il suo territorio” in cui era l’unico ad avere la sovranità e a stabilire le regole in base a cui viverci.

Dopo quel sopralluogo mi sono sempre ribellato a coloro che definivano “regolare” il campo di via Chiesa Rossa. “Regolare” è un termine improprio per definire la situazione in essere, che di “regolare” -  cioè “in regola” - aveva ben poco; semmai si può dire “autorizzato”, ma “regolare” assolutamente no.

Limitarsi ad una analisi di una cattiva gestione dei campi di questi anni sarebbe però una prospettiva miope. La politica ha il dovere di ragionare seriamente anche su quella che è la filosofia di fondo. Se lo scopo è creare una società in cui le persone, anche di culture profondamente diverse tra loro, si integrano in base ad un rispetto reciproco fondato anche su un sistema di regole condivise che sono le Leggi dello Stato, allora credo che qualsiasi soluzione che preveda la costruzione di “ghetti” o “campi” che separano gruppi di persone in base alla loro etnia dal resto della società, sia una soluzione profondamente sbagliata oltre che intrisa di rivoltante razzismo.

Per decenni il mondo intero ha combattuto contro il sistema dell’happartaid che esisteva in Sud Africa, un sistema profondamente razzista. Evitiamo di ricreare qualcosa di analogo in Italia. La “segregazione” o la “separazione” sono l’esatto contrario dell’integrazione, e con essa incompatibili. Se si vuole perseguire la finalità di una società in cui le sue varie anime sono integrate, allora bisogna dire “no alla politica dei campi-ghetto”, anche perché, come dicevamo prima, a Milano sono diventati “campi-ghetto-fortezze” quasi inespugnabili, fatto salvo che si organizzi un’azione di polizia di tipo quasi militare con l’impiego di 300 agenti, come è avvenuto in via Chiesa Rossa.

Oltre all’integrazione, l’altra parola d’ordine deve essere “eguaglianza”. Eguaglianza davanti alle regole, davanti alle Leggi e senza trattamenti speciali basati sull’appartenenza ad un gruppo o ad una etnia. Del resto lo dice anche l’Art. 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali […]”.

Per quale ragione per alcuni cittadini italiani (come sono quelli che vivono nel campo di via Chiesa Rossa o negli altri campi autorizzati) dovrebbero valere regole e trattamenti che per altri cittadini italiani non valgono? Per quale ragione poi dei “campi nomadi” devono vedere delle assegnazioni permanenti? Sono “nomadi” o “stanziali”? Coloro che hanno deciso di vivere in modo stabile in un posto sono i benvenuti, ma si cerchino una casa (in affitto o di proprietà) come fanno tutti i cittadini; e se non hanno i mezzi si iscrivano alle liste per chiedere che gli venga assegnato un appartamento di Edilizia Residenziale Pubblica, come fanno tutti i cittadini onesti.

Se i “campi nomadi” hanno ancora un senso questo può essere solo quello rivolto ai “nomadi-veri”, non ai “nomadi non-nomadi”, quindi basati su una permanenza temporanea, breve, di transito; non certo su assegnazioni definitive che non fanno altro che creare una situazione di privilegio di alcuni a danno di altri, oltre a perpetrare una separazione dal resto della società che non è funzionale a una reale integrazione nel tessuto sociale.

Lo scopo di questo articolo è quello di riaprire il dibattito sulla materia, con l’auspicio che sia una discussione basata su riflessioni serie e non sull’emotività e tantomeno su preconcetti.

Luca Gandolfi

Consigliere di Zona 5

Di Pietro Italia dei Valori 

info@lucagandolfi.it

www.lucagandolfi.it

 

 

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